LA FORZA DELLE DONNE, STORIA, ARTE, CULTURA

PRENDE IL VIA IL GRANDE EVENTO CHE AVRÀ LUOGO ALLA SALLUSTIANA ART TODAY GALLERY DAL 20 SETTEMBRE AL 2 OTTOBRE, A CURA DI PASQUALE DI MATTEO, CON LA COLLABORAZIONE DI FRANCESCA TRITICUCCI.

Lunedì 20 settembre prende il via LA FORZA DELLE DONNE, STORIA, ARTE, CULTURA, presso gli eleganti spazi della Sallustiana Art Today Gallery, di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti d’America, a Roma.

Tredici straordinarie artiste esporranno alcune opere, alternandosi in due gruppi divisi nelle due settimane di mostra, dal 20 al 26 settembre e dal 27 al 2 ottobre.

Le artiste in esposizione durante la prima settimana sono: Barbara Marchi, Gina Fortunato, Cinzia Trabucchi, Silvy Favero, Francesca Bice Ghidini, Nelly Fonte.

Le artiste in esposizione durante la seconda settimana: Liliia Kaluzhyna, Sirio, Serena Pescarmona, Carla Bertoli, Simona Veronica Verzichelli, Daniela Bussolino, Teresa De Sio.

Tutte le artiste sono state selezionate dal critico d’arte e scrittore Pasquale Di Matteo in virtù della loro capacità di veicolare messaggi sulle dinamiche del mondo femminile.

L’evento sarà occasione per discutere di storia, di legislazione, di grandi donne del passato e di molte dinamiche del mondo femminile, in Italia e nel mondo.

Inizialmente, doveva avere luogo in una sala istituzionale, il 6 marzo 2020, ma, a causa dell’emergenza sanitaria in atto e della difficoltà dell’organizzatrice a cui il critico Di Matteo si era affidato di individuare altre soluzioni espositive, l’evento ha finalmente trovato collocazione presso gli spazi della Sallustiana Art Today Gallery, di Francesca Triticucci. Non più un solo giorno di esposizione per tutte le artiste, bensì una settimana in numero ridotto, in modo da avere maggiori opportunità di lasciar apprezzare l’alto valore artistico di ciascuna.

Per l’occasione, si terranno due vernissage, entrambi di giovedì e alle ore 18. Il 23 e il 30 settembre.

Di seguito il progetto scritto da Pasquale Di Matteo a novembre 2019.

PREMESSA

   Il 25 marzo 1957, presso la Sala Protomoteca del Campidoglio, venivano siglati i Trattati di Roma, con i quali si istituivano la Comunità Economica Europea e la Comunità Europea dell’Energia Atomica.

   In particolare, con l’articolo 119 del Trattato con il quale si dava vita alla Comunità Economica Europea, finalmente, per la prima volta, si sanciva in un atto internazionale l’uguaglianza di genere e la necessità di mettere in pratica ogni azione idonea per eliminare le discriminazioni e le disparità tra uomo e donna.

   Tale trattato giungeva in seguito al fallimento della Società delle Nazioni e ai decenni che sconvolsero l’Europa, dopo la Grande guerra, la Rivoluzione Russa, la follia nazista e la Seconda Guerra Mondiale. 

   E, nella Storia dell’Europa, sono moltissime le donne che si sono battute per i diritti delle donne, così come sono molteplici le donne attraverso i cui occhi si è raccontata la vita del Vecchio Continente.

   In questo progetto, ne citeremo in particolare tre: Alexandra Kollantaj, che ha combattuto il dispotismo dello Zar, in nome di una visione utopista dell’Europa, in chiave pacifista; Anna Frank, che ha raccontato l’assurdità del Nazismo, visto attraverso gli occhi da bambina; Eliane Vogel-Polsky, che, partendo dalle macerie prodotte dagli anni vissuti dalle prime due, ha combattuto per i diritti delle donne e per costruire un’Europa in cui la parità tra uomo e donna non fosse soltanto affermata sulla carta e nelle leggi, ma applicata nella realtà dei fatti.

***

   8 marzo.

   Una festa che ogni anno si ripropone nelle sue declinazioni più offensive nei confronti di quelle stesse donne che, invece, dovrebbe festeggiare, tra spogliarelli, fiumi di alcool, musica ad alto volume in discoteca, tacchi alti e minigonne, il tutto condito dal profumo neanche troppo delicato di quintali di fiori di mimosa, la pianta scelta per l’occasione dall’Unione Donne Italiane nel 1946.

   Una ricorrenza il cui svilito spessore culturale viene drammaticamente sviscerato quando si chiede alle stesse festeggiate il motivo della festa, scoprendo che, tra falsi storici e miti, tutto si riduce a cene, discoteche e agli auguri di molti uomini che il resto dell’anno dimostrano di avere un’idea della donna di stampo maschilista.

   Che senso ha festeggiare la donna l’8 marzo, quando il resto dell’anno, in molte realtà lavorative, i loro stipendi restano più bassi rispetto a quelli dei colleghi maschi?

   Che senso ha la festa della donna se ogni giorno c’è un avvocato pronto a giudicare come provocatrice una ragazza stuprata che indossava una minigonna o dei jeans troppo attillati?

   Che senso ha voler rispettare la donna l’8 marzo, quando il resto dell’anno chi decide di abortire viene costretta a sopportare la pressione psicologica di medici obiettori?

   Che senso ha ricordarsi della donna un giorno solo, se poi il resto dell’anno, nella gran parte delle case, esiste il posto del capofamiglia, ovviamente riservato all’uomo, nonostante la stessa figura del capofamiglia sia stata abrogata con la Riforma del diritto di famiglia, oltre quarant’anni fa?

   Non ci sarà una vera festa della donna fino a quando la società non smetterà di essere profondamente maschilista, fino a quando le compagne di vita non verranno relegate soltanto al ruolo di amanti, cameriere, cuoche ed educatrici.

   Quale festa della donna, allora? Come renderla autentica?

   Innanzitutto, è fondamentale l’educazione alla Storia, perché se non si conoscono i motivi fondativi di questa ricorrenza, motivi politici e di diritti sociali, la Giornata Internazionale della Donna continuerà a essere la festa delle osterie, dei fiorai e degli uomini sempre a caccia.

   E nulla più.

   Da dove nasce, quindi, la festa della donna?

   Ripercorriamone le tappe…

CENNI SULLE CONQUISTE DEL MOVIMENTO FEMMINISTA.

   Fino alla fine del 1700, i soli ruoli riconosciuti alle donne erano: “virgo, vidua et mater”, ovvero, vergine, vedova e madre.

   Fu solo con la Rivoluzione Francese che presero vita le prime avvisaglie di un movimento femminista, ispirate proprio dalle richieste rivoluzionarie di uguaglianza, fraternità e libertà, portate avanti da Olympe de Gouges, autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, con la quale la paladina dei diritti civili delle donne francesi sperò di coinvolgere Maria Antonietta nelle sue battaglie, prima di essere ghigliottinata nel 1793, principalmente per essersi scagliata contro la presunta volontà di Robespierre e Marat di trasformare la Francia in una dittatura.

   Dopo l’esecuzione, il procuratore della Comune di Parigi, Pierre-Gaspard Chaumette, manifestò compiacimento per la condanna a morte, che definì meritata, perché la donna aveva “dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso”. 

   Tuttavia, la nascita ufficiale del movimento femminista è del 1848, anno in cui si tenne lo storico Congresso sui diritti delle donne, presso Seneca Falls (New York), nel quale si affermò la richiesta di cittadinanza politica per i neri e per le donne. Protagoniste del congresso furono le attiviste Elisabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, da più parti definita la “Napoleone del movimento delle donne”.

   Per comprendere l’importanza storica di questo congresso basta ricordare che si tenne in un’epoca in cui gli studiosi più accreditati al mondo, come il patologo Rudolph Wagner, o l’antropologo Gustave Le Bon, si dicevano convinti del fatto che i cervelli delle donne e degli Africani fossero meno sviluppati di quello dei maschi di razza bianca.

   In Italia, le prime a ribellarsi, in nome di una società più giusta, furono la mazziniana Anna Maria Mozzoni, la cattolica Teresa Labriola e la socialista Anna Kuliscioff, quest’ultima ispiratrice della legge per la tutela del lavoro femminile e dei minori n. 242 del 19 giugno 1902, nonché del diritto di voto alla donna.

   La Mozzoni, invece, attraverso i suoi articoli di giornalista, mise in luce le contraddizioni della società del suo tempo, che riservava alla donna il ruolo di angelo del focolare, per poi essere sfruttata, sottopagata e, di fatto, discriminata.

   Negli anni di attivismo, la Mozzoni avanzò 198 richieste, fantascientifiche per quei tempi, tra le quali il diritto di voto, l’accesso all’istruzione e la separazione dei beni, riuscendo a ottenere solo l’abrogazione dell’autorizzazione maritale, che, tra le altre cose, impediva alle donne di iniziare un’attività commerciale senza consenso del marito.

   Una vittoria risicata, ma che gettò le basi per l’indipendenza economica della donna.

   Nel 1874, alle donne fu permesso per la prima volta di iscriversi al Ginnasio, al Liceo e all’Università; negli anni a venire, si verificarono lo sciopero delle mondine, la nascita dei sindacati (il primo fu quello delle lavoratrici tessili, nel 1889), l’accesso agli uffici pubblici, telegrafici e postali, e le prime attività commerciali al femminile.

   Tuttavia, petizioni e disegni di legge per il diritto di voto alle donne furono sempre respinti, nel 1863, nel 1875, nel 1877, nel 1888 e nel 1898, persino quando, nel 1912, il liberale Giovanni Giolitti introdusse il suffragio universale maschile, ma escluse le donne, nella convinzione che aggiungere sei milioni di donne all’elettorato fosse un salto nel buio, come disse alla Camera.

   Il Fascismo concesse il voto alle donne nel 1925, senza mai darne reale attuazione, perché, con la riforma del 1928, furono soppresse le elezioni e successivamente fu instaurata, di fatto, la dittatura, con la cancellazione di molti diritti di tutti i cittadini.

   Le insegnanti donne furono escluse dalle cattedre di Lettere e filosofia e dai licei, così come le tasse scolastiche per le studentesse raddoppiarono.

   Con il regio decreto 838 del 29 luglio 1939, si stabilirono addirittura per legge  professioni spiccatamente femminili, come: le dattilografe; le telefoniste; le stenografe; le conta banconote; le bigliettaie; le segretarie; le annunciatrici; le cassiere; le commesse; le sarte .

   Nel mondo, invece, il voto alle donne era una realtà consolidata in diversi Paesi, come la Svezia, dal 1866, la Nuova Zelanda, dal 1893, l’Australia, dal 1899, la Finlandia, dal 1906, l’Inghilterra, dal 1918, gli Stati Uniti d’America, dal 1920.

   Durante la Seconda Guerra Mondiale, il ruolo delle donne italiane fu fondamentale per sostituire nelle fabbriche e nei campi gli uomini impegnati al fronte e il gentil sesso si fece valere anche tra le fila della resistenza.

   Gli esponenti del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana si resero conto del fatto che la società non viaggiasse su una monorotaia maschile, perciò, sebbene in ritardo rispetto ad altri Paesi, con il decreto legislativo del febbraio 1945, le donne italiane conquistarono il diritto di voto, partecipando al Referendum del 2 giugno 1946, per scegliere tra Monarchia e Repubblica.

   La Costituzione repubblicana del 1948 stabilì, inoltre, l’uguaglianza dei cittadini, senza distinzione di sesso (art. 3), la parità dei coniugi rispetto ai figli (art. 29 e 39) e la parità di genere sul lavoro (art. 51). 

   Il Referendum del 12 maggio 1974 confermò la legge sul divorzio del 1970; nel 1975, la Riforma del diritto di famiglia cancellò la figura arcaica del capofamiglia e le attenuanti previste per il delitto d’onore; nel 1978, la legge 194 estese tutele e diritti per le donne in merito alla maternità e al diritto di aborto, legge anch’essa confermata da un Referendum, il 5 agosto 1981. 

   Con il Trattato di Roma con cui si costituì la Comunità Economica Europea, siglato presso la Sala Protomoteca del Campidoglio, in Roma, il 25 marzo 1957, venne sancita a livello internazionale l’uguaglianza di genere in ogni ambito del vivere, compreso quello lavorativo; nella fattispecie, con l’articolo 119 dello stesso trattato.

PERCHÈ LA FESTA DELLA DONNA PROPRIO L’8 MARZO

Nell’agosto del 1907, si tenne il VII Congresso della II Internazionale socialista, a Stoccarda, in cui fu votata una risoluzione con la quale i partiti socialisti si impegnavano per l’approvazione del suffragio universale delle donne, ma con la decisione di non allearsi alle femministe borghesi, che lottavano per lo stesso risultato.

   Tuttavia, la socialista statunitense, Corinne Brown, scrisse sulla rivista The Socialist Woman che il congresso non aveva alcun potere di indicare alle donne come difendere i loro diritti e che il divieto di alleanza con le femministe borghesi era sostanzialmente un abuso nei confronti del mondo femminile.

   L’ultima domenica di febbraio, nel 1909, si tenne il primo Woman Day, negli Stati Uniti, in cui furono discussi i soprusi subiti dalle donne, soprattutto in ambito lavorativo.

   Tale manifestazione in favore delle donne si tenne successivamente anche in molti altri Paesi del mondo, sebbene con date differenti.

   L’8 marzo 1917, le donne russe guidarono una grande manifestazione in favore della conclusione della Prima Guerra Mondiale, dando il via alla rivoluzione che spodestò lo Zar.

   Il 14 giugno 1921, la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste stabilì che l’8 marzo di ogni anno si sarebbe tenuta la “Giornata internazionale dell’operaia”.

   Tuttavia, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la divisione del mondo occidentale in due blocchi, fece sì che venisse minimizzato il connotato fortemente politico e ideologico della giornata dell’8 marzo e della forza delle donne comuniste, fino a snaturarlo attraverso fantasiose versioni secondo le quali la festa della donna ricorreva ogni anno in ricordo di centinaia di operarie morte in un fantomatico rogo, dell’inesistente fabbrica denominata Cottons, che sarebbe avvenuto l’8 marzo del 1908 a New York.

   Pura fantasia.

   In realtà, si faceva confusione con una tragedia verificatasi per davvero il 25 marzo 1911, in cui persero la vita 123 operaie e 23 colleghi maschi, arsi vivi nell’incendio che distrusse l’azienda Triangle, ma che fu associato al giorno dedicato alle operaie solo successivamente, cioè solo dopo che le donne comuniste, soprattutto russe, ne decretarono la nascita, dieci anni più tardi.

   La cosa esilarante, che dimostra quanto gli stereotipi siano duri a morire, quando si gioca nel campo della politica, è che molti studiosi e persino alcuni sindacalisti, riconducono erroneamente l’8 marzo al rogo della Triangle o, peggio, a quello della fantasiosa Cottons.

   Il 16 dicembre 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite propose a ogni Paese di dichiarare, per legge, ogni anno la Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e per la pace internazionale.

   Fu scelto l’8 marzo proprio in virtù del fatto che in molte nazioni si festeggiava già la Giornata dell’operaia.

COME FESTEGGIARE LA DONNA OGGI

Dunque, la festa della donna è una ricorrenza in cui il ruolo delle battaglie di milioni di donne nel mondo, soprattutto delle comuniste, è stato fondamentale.

   Donne che sono state uccise per le loro idee e donne che sono morte per gli abusi subiti, sul lavoro e in famiglia, e per colpa delle storture della società.

   Tuttavia, ancora oggi le donne sono considerate su un piano inferiore, dall’uomo, come si può notare osservando le curve sinuose che ondeggiano sui cartelloni pubblicitari, e il cui rispetto è spesso limitato alle scosciate e alle scollature di qualche famosa soubrette in televisione.

   Fino a quando non si accetterà la storia politica della festa della donna e fino a quando la società di oggi, ancora troppo maschilista, non capirà che la cultura della parità non è oggetto di pensiero, ma realtà di  fatto, la festa della donna avrà il gusto alcolico di un aperitivo, il suono assordante di una discoteca, il profumo delle mimose e lo spessore culturale del nulla.

   Perché la festa della donna assuma l’importanza originaria, è necessario, da un lato ricordare le lotte delle donne nella storia, comprese le Comuniste, le troppe vittime del mondo del lavoro e dei soprusi, dall’altro, cambiare la cultura per cui una donna al lavoro è un soggetto di seconda fascia e nella società è ridotta al ruolo di oggetto di libidine e di incubatrice.

   Una cultura per la quale le stesse grandi religioni dovrebbero essere ridimensionate, perché non ha senso festeggiare la donna l’8 marzo, quando le donne islamiche vivono ancora un medioevo culturale.

   Non ha senso spendere belle parole per la festa della donna, quando si è a capo della Chiesa, quella stessa chiesa in cui nessuna donna può officiare messa, guidare una parrocchia, né scalare i vertici della stessa.

   Non ha nemmeno senso parlare di festa della donna dall’alto della politica, quando non si affrontano i disagi prodotti dalle ultime riforme della Sanità e del welfare, scaricati quasi per interno sulle spalle delle donne, figlie, mogli, madri e lavoratrici, e quando non si attuano politiche a favore e a tutela del mondo femminile, in merito a gravidanza, asili e aiuti economici per gli studi.

   Perciò, festeggiamo la donna attraverso comportamenti analoghi a quelli riservati agli uomini, in ogni ambito sociale e culturale, lavorativo e familiare. Allora, non ci sarà più bisogno di porgere gli auguri in un giorno speciale, come l’8 marzo, ma sarà la festa della donna, la festa dell’uomo, la festa dell’umanità e dei diritti umani tutto l’anno.

GRANDI DONNE CHE HANNO LOTTATO PER UN’EUROPA PIU’ ATTENTA AL MONDO FEMMINILE

ALEXANDRA KOLLANTAJ

   Alexandra Kollantaj è stata la prima donna europea a ricoprire l’incarico di Ministro, prima, e di ambasciatrice in un secondo tempo.

   Donna dallo spirito ribelle, si separò dal marito perché si sentiva imprigionata nella vita da casalinga, quindi si impegnò in prima persona in politica, infatuandosi delle idee marxiste.

   Per la Kollantaj, in una società repressiva, in cui non esisteva una parità di genere, il matrimonio era una pratica che rischiava di essere umiliante per la donna, perciò ella predicava l’amore libero proprio come cardine per il raggiungimento della piena uguaglianza.

   Fu una figura di spicco agli albori dell’Unione Sovietica e fu in prima linea in attività che portarono a conquiste importanti per le donne: dal diritto di voto, alla possibilità di essere elette; dalla legge sul divorzio, all’aborto, poi abolito da Stalin, nel 1935, e reintrodotto soltanto dopo la sua morte.

   Inoltre, fu ministro plenipotenziario in Norvegia e in Messico, dove rappresentò il proprio Paese, nonché una delle sole diciassette donne a presenziare in qualità di delegate alle assemblee della Società delle Nazioni.

   Tuttavia, Alexandra Kollantaj non sfuggì alle epurazioni staliniane che, sebbene non la eliminarono fisicamente come accadde a tanti altri funzionari del passato e della Rivoluzione, la costrinsero a un vero e proprio esilio all’estero, con incarichi che le impedivano l’attività politica in patria, così come fu praticamente obbligata a schierarsi apertamente a favore dello stalinismo.

   Resta tuttavia indiscusso il suo ruolo di donna combattiva, che affermò per l’intera vita il ruolo paritario delle donne rispetto agli uomini.

ANNA FRANK

   Simbolo della Shoah, Anna Frank è divenuta tristemente famosa per il suo toccante diario scritto durante il periodo in cui la sua famiglia si nascondeva dai Nazisti, nel rifugio ad Amsterdam.

   I suoi scritti non raccontano soltanto le tribolazioni di un’adolescente costretta a condividere i propri spazi con altre persone, in una condizione di clandestinità, ma sono anche la toccante testimonianza di chi ha vissuto sulla propria pelle la cattiveria, la viltà e la barbarie più immorale perpetrata dall’uomo.

   Il pangermanesimo, infatti, si fondava sull’idea della supremazia ariana su tutte le altre genti, divise in razze, come le bestie, e prevedeva la sottomissione di interi popoli.

   Proprio per scongiurare il ripetersi delle atrocità prodotte dal Nazismo, i Trattati di Roma del 1957, sebbene instaurassero una Comunità Economica, accesero anche i riflettori sulla creazione di un’Europa delle nazioni e dei popoli, un valore che andrebbe rivalutato e promosso con maggior enfasi oggi, in contrasto con un modello in cui, invece, prevale la legge dei numeri e la supremazia della Finanza. Anna Frank mori nel 1945, presumibilmente nel mese di febbraio.

ELIANE VOGEL-POLSKY

   «… Ogni stato membro, durante la prima fase, dovrà assicurare e di conseguenza garantire l’applicazione del principio che uomini e donne devono ricevere una uguale retribuzione a fronte di un uguale lavoro…».   

   Questo è quanto recita l’articolo 119 del Trattato di Roma, ciò che ha animato la vita di Eliane Vogel-Polsky, pioniera del femminismo europeo.

   Il 16 febbraio 1966, in Belgio entrarono in sciopero le lavoratrici della Fabrique National, azienda che fabbricava armi, per chiedere il pieno rispetto di quanto sancito proprio dal Trattato di Roma, fatto più unico che raro nella storia, fino ad allora; 3550 operarie che guadagnavano decisamente meno rispetto ai circa 10.000 colleghi maschi, con le addette alle macchine costrette a orari massacranti, senza alcuna opportunità di carriera, riservata esclusivamente agli uomini.

   A guidare la sommossa fu Charlotte Haugustaine, battagliera ragazza che aveva studiato a fondo il famoso articolo 119, dopo averne sentito parlare per la prima volta durante un seminario del sindacato, in cui era intervenuta Eliane Vogel-Polsky, una giurista belga con tre lauree: Sociologia del Lavoro; Legislazione Sociale; Studi di Diritto Europeo.

   Durante le dodici settimane di sciopero della Fabrique Nationale, la Vogel-Polsky si recò agli stabilimenti per studiare da vicino il fenomeno, rendendosi conto della cruda realtà di quanto aveva appreso soltanto sui libri.

   Fu in quella circostanza che la studiosa decise che la causa femminile sarebbe stata la strada da percorrere: fu una delle prime e più battagliere femministe e si adoperò in politica per portare avanti le istanze delle donne, senza tuttavia rinunciare all’insegnamento universitario e ai Tribunali del Lavoro.

   Nel 1974, la Sociologa promosse uno studio sul mondo femminile in Europa per la Commissione Europea, in cui espresse dati sconfortanti: le donne non riuscivano a conciliare il lavoro con le esigenze familiari, ricevevano un’istruzione precaria, avevano possibilità di carriera insignificanti rispetto agli uomini ed erano meno retribuite.

   Nella sua relazione, dipingeva le donne come persone oppresse, sfruttate e fortemente discriminate.

   Era dal 1961 che la Vogel-Polsky collaborava con la Commissione Europea perché tutti gli Stati del mercato Comune Europeo recepissero interamente il Trattato di Roma, compreso l’articolo 119, largamente disatteso.

   La Giurista e Sociologa, tuttavia, non si diede mai per vinta, disposta a presentare persino la questione alla Corte Europea di Giustizia; il caso adatto le si presentò nel 1967, in seguito al licenziamento di Gabrielle  Defrenne, hostess lasciata a casa dalla compagnia aerea per cui lavorava al raggiungimento del quarantesimo anno d’età.

   Il regolamento aziendale, d’altronde, prevedeva soltanto l’impiego di donne single, senza figli, belle e che non avessero compiuto quarant’anni, mentre gli steward non avevano alcun limite, guadagnavano di più e percepivano persino un bonus extra sulla pensione.

   Eliane Vogel-Polsky portò il caso Defrenne davanti alla Corte Europea di Giustizia e, dopo ben undici anni di battaglia, il 15 giugno 1978, la sentenza sancì il rispetto dell’articolo 119 del Trattato di Roma e che la cancellazione di ogni discriminazione di genere, per giungere a una piena uguaglianza, fosse la pietra miliare della costruzione giuridica della Comunità europea, in quanto diritto umano fondamentale.

   A Eliane Vogel-Polsky si devono le nuove, importanti direttive in materia di paghe e di servizi sociali, nonché i primi programmi per promuovere le pari opportunità, le raccomandazioni agli stati membri di «adottare una politica di azioni positive volte ad eliminare le disuguaglianze che colpiscono le donne nella loro vita lavorativa» e a «promuovere un migliore bilanciamento dei sessi sul lavoro».

   Nel 1997, alla soglia dei settant’anni, fu eletta al Parlamento di Strasburgo. Eliane Vogel-Polsky si è spenta il 13 novembre 2015, portando avanti le sue battaglie fino all’ultimo dei suoi giorni, criticando apertamente la politica europea, a suo dire inefficace nella lotta alle discriminazioni di genere, le cui azioni servivano solo a perdere tempo e a garantire privilegi agli uomini.

   La Vogel-Polsky riteneva anche che la condizione femminile, che precludeva alle donne molti accessi alle carriere, nei più disparati settori, fosse uno spreco di energie che faceva male all’intera società.

COSA HA CONCESSO L’EUROPA ALLE DONNE

   Come abbiamo visto, già con l’art. 119 del Trattato di Roma del 1957, le pari opportunità di genere sono state riconosciute e suggerite a tutti gli Stati membri, così come, dopo il caso Defrenne, sono diventati diritti dell’essere umano.

   Altro fondamentale impulso all’azione in favore delle donne vi fu con la Piattaforma di Pechino, nel 1995, con interventi nel campo della maternità e dei diritti in merito all’allattamento.

   Inoltre, durante gli anni immediatamente successivi alla Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, sono stati emanate direttive che hanno migliorato alcuni aspetti sociali: congedi parentali; il miglioramento dell’offerta part-time; l’onere della prova nei casi di licenziamento.

   Con il Consiglio Europeo di Lisbona, nel 2000, sono stati fatti ulteriori passi avanti per favorire l’ingresso e il mantenimento della donna nel mondo del lavoro, con una serie di direttive atte a creare condizioni favorevoli, a cominciare dall’offerta di custodia della prole, con gli asili nido.

 Con le recenti direttive sui congedi parentali, che di fatto obbligano i padri a fare i padri, on due mesi di maternità facoltativa che non saranno più cedibili alla consorte, l’Europa ha voluto ribadire anche nella genitorialità la parità tra i sessi; tale intervento, tuttavia, è anche incisivo sotto il profilo dell’occupazione, poiché rende più simili uomini e donne agli occhi delle aziende, proprio in tema di maternità, figli e congedi parentali.

  In linea generale, oltre a introdurre direttive per giungere a una parità di genere sempre più ampia, l’Europa ha favorito la presenza femminile nel mondo del lavoro, nelle Istituzioni, contribuendo a far sì che le donne potessero avere accesso all’istruzione come i colleghi dell’altro sesso.

   Anche con lo stanziamento dei fondi strutturali, per i progetti di stampo europeo, si sono introdotte norme che tutelano la parità di genere e che favoriscono il raggiungimento di obiettivi di occupazione femminile che possa livellarsi su quella maschile, anche se le norme legate all’austerità, introdotte dopo l’inizio della grande crisi economica, scoppiata nel 2008, quanto progettato nel 2000 e nel 2005 ha visto una battuta d’arresto, proprio a causa della contrazione anche dei fondi strutturali.

COSA PUO’ FARE ANCORA L’EUROPA PER LE DONNE

   Purtroppo, sebbene dalla metà del secolo scorso siano stati fatti innegabili passi avanti in merito alla parità di genere, ancora oggi una buona percentuale di donne percepisce paghe ridotte rispetto a quelle dei maschi a parità di mansione.

   Inoltre, nonostante leggi impositive sulla distribuzione di genere nelle liste politiche, le donne risultano ancora in proporzione minore, fatta eccezione per pochi Stati, come la Finlandia.

   Le stesse grandi aziende, le multinazionali, i vertici delle banche, difficilmente vedono una donna al comando.

   D’altro canto, poche sono le nazioni che hanno avuto donne alla guida, comprese le sedicenti grandi democrazie.

   E l’Europa?

   Per la prima volta, nel 2019 l’Europa ha posto due donne a capo della Banca Centrale Europea e della Presidenza della Commissione Europea, rispettivamente, Christine Lagarde e Ursula Von Der Leyen.

   Negli ultimi quarant’anni, la presenza femminile nell’emiciclo del Parlamento di Bruxelles è raddoppiato, ma è ancora al di sotto del 35% del totale dei Parlamentari.

   L’Europa, dunque, dovrà fare ancora molto per giungere a una piena parità di genere, ma forse le stesse donne ai posti di potere, in Europa, nelle Commissioni e non solo, dovranno attivarsi perché l’Unione possa tornare a splendere, ovvero a essere un faro da cui lasciarsi guidare per giungere al futuro.

   È forse proprio questo il compito più difficile che attende Lagarde e Von Der Leyen, che hanno ereditato, la prima una banca centrale costretta a emettere costantemente una quantità abnorme di moneta per non far crollare il sistema, l’altra il concetto di un’Europa della finanza, totalitaria e che porta con sé il fallimento sociale compiuto in Grecia.

Durante i due vernissage, ci sarà occasione anche per citare Shamsia Hassani, l’artista diventata virale sui social in seguito alla disfatta americana in Afghanistan.

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