I TORMENTI DI MARALBA FOCONE

Maralba Focone è un’artista raffinata, che dipinge stendendo i colori a olio mediante spatole e pennelli piatti, con certosina devozione, mettendo a nudo i segreti dell’anima.

La Focone usa il colore come se si trattasse di una miscela magica, di vernice e di calce, di mattoni e di cemento, perché non dipinge soltanto, ma costruisce la scena che vede impressa nella mente, tormentandosi affinché sulla tela possa risultare con la stessa intensità onirica.

Nella loro evoluzione, le infinite spatolate di colore cambiano di tono, costruendo l’immagine mentale dell’artista con la stessa luce, vincolando l’opera al punto di vista della mente e al giudizio critico dell’anima, che rielabora i motivi e i sentimenti che spingono la donna Maralba a sognare proprio quella scena.

E la Focone vede muri che racchiudono vie senza orizzonte, strade in cui individui soli passeggiano o stazionano affrontando i tormenti del vivere.

Più che una pittrice, Maralba Focone è un’analista del proprio tempo, che, anziché esprimere attraverso la scrittura quanto sviscerato dal presente, preferisce declinare sulle tele mappe di colore che generano immagini oniriche.

Attraverso tale modalità, l’artista ci introduce nei meandri della sua mente, spalancando anche le porte dell’anima, con un coraggio immenso, poiché è difficilissimo non sentirsi vulnerabili quando ci si mette a nudo.

Perciò, a chi osserva le sue opere, Maralba Focone riesce a far provare angoscia, frustrazione, persino impotenza, le stesse tribolazioni che agitano i suoi personaggi e i medesimi sentimenti elaborati nel profondo.

Nei borghi di Maralba Focone, la prospettiva è quella di un grandangolo che appiattisce l’orizzonte, chiudendo ogni via di fuga in avanti.

Si tratta di uno stratagemma stilistico grazia al quale l’artista torinese pone chi osserva di fronte a un muro.

È come se la Focone volesse costruire ogni volta un labirinto, creato dai vari livelli dei suoi muri, costruiti con i colori applicati a spatola, per poi bloccare l’osservatore davanti all’assenza di orizzonti, in modo tale da instillare il senso di angoscia e di solitudine di cui tratta nei suoi lavori.

I suoi borghi sono costruzioni per le figurazioni angosciate, sole e afflitte da tribolazione, di cui tratta nelle sue opere figurative.

I muri e le case addossate gli uni a ridosso delle altre rappresentano le tribolazioni e le angosce del vivere, soprattutto degli ultimi, di quelli che la nostra società giudica come perdenti.

Non a caso, quando per le vie si ritrovano delle figurazioni, esse sono quasi sempre sole, tristi, con il capo chino, anche se in coppia.

La Focone ci pone di fronte alle angosce di una vita in cui gli esseri umani non sono in simbiosi, dove sembrano esistere uomini di serie A e di serie inferiori in virtù del gonfiore del portafogli, dell’appartenenza etnica, oggi persino dalla presunta purezza sanitaria.

L’artista ci invita, infatti, ad accorgerci di chi ha bisogno, a comprendere che ogni individuo è una persona e che ogni figura lavorativa o sociale ha un compito fondamentale per tutti. Il messaggio veicolato da Maralba Focone è di aprire gli occhi nei confronti della vita e della verità, perché quella raccontata dei media non è necessariamente l’unica possibile.

Comprendere gli altri, d’altro canto, presuppone la capacità di accendere il motore dell’empatia, soffocato da ogni forma di egoismo. E presuppone anche una base culturale importante che non può prescindere dalla mentalità aperta e in grado di concepire l’immensità dell’essere umano.

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