Jean Michel Basquiat nasce a Brooklyn, New York, il 22 dicembre 1960.
La sua è un’infanzia difficile, segnata dal divorzio dei genitori, che avviene quando ha solo sette anni.
Nello stesso periodo, Basquiat comincia a sentire la necessità di disegnare, passione che esploderà in maniera prepotente durante l’adolescenza, quando il giovane stringe amicizia con Al Diaz, un giovane graffitista con il quale prende vita un duo di imbrattatori di strade e di muri che si firma con lo pseudonimo SAMO (Same Old Shit, solita vecchia merda).
Il duo si fa notare fin da subito per i temi da pugni nello stomaco, come la religione, la politica e la falsa filosofia dei media, tanto da vedere i relativi graffiti fotografati da riviste e giornali del settore.
Alcune gallerie di New York si lasciano sedurre dalla nuova tendenza, quando Basquiat, dopo aver litigato con l’amico Diaz, abbandona lo pseudonimo e comincia a firmarsi con il suo nome.
Jean Michel Basquiat non ha una formazione tecnica, ma assimila dalla contemporaneità del suo tempo gli stimoli per declinare nella pittura le emozioni che gli fabbrica dentro il vivere.
Il suo amore per l’anatomia, più volte presente nelle sue opere, gli deriva da un triste episodio della sua infanzia, quando, dopo essere stato investito da un’auto, fu costretto a una lunga convalescenza; in tale occasione, la madre gli regala il libro L’Anatomia, di Henry Gray, che leggerà avidamente.
I suoi tratti fanciulleschi ne caratterizzano immediatamente lo stile, rendendolo non soltanto riconoscibilissimo tra migliaia di altri artisti, ma capace di tracciare una nuova strada nel mondo della figurazione.



E i tratti di Basquiat, che a un primo fugace sguardo potrebbero richiamare quelli dei bambini della scuola dell’infanzia, raccontano tutto il malessere del giovane, sempre in cerca di un’affermazione che, fin dalla tenera età, egli sente di non aver mai avuto.

Desideri di emancipazioni che gli maturano dentro anche attraverso i tanti libri ch’egli legge avidamente e che sono per lui fonte inesauribile di immagini, di racconti, di emozioni, di stimoli di ogni genere; non a caso, alla sua morte ne verranno trovati in quantità impressionante nella sua casa, di ogni argomento, dall’Archeologia, all’Arte, alla Scienza.
Ecco perché Basquiat riesce ad allontanarsi dai canoni imposti dalla Pop Art, proprio grazie a una cultura elevata e vasta che gli consente di attingere a un bacino di idee quasi inesauribile.
Le sue opere raccontano la sua vita, attraverso i protagonisti che ne hanno fatto parte: poliziotti, giochi di bambini per strada, edifici e persone incontrate per caso.
L’incontro decisivo per la carriera di Basquiat è quello con la gallerista Annina Nosei, che gli concede di adibire a studio la cantina della sua galleria e lo presenta al mondo del collezionismo statunitense che conta.
Nelle opere di Basquiat, il colore si fonda con la parola, dove frasi enigmatiche raccontano i tormenti dell’anima dell’artista, spesso martoriato dall’uso costante di stupefacenti e di droghe pesanti.
Un gioco, quello di Basquiat con le frasi, che elabora, rimodella, integra, costruendo enigmi, giochi di parole, o semplici segni grafici.
Per Basquiat, la parola è il ponte che collega il concettualismo all’astrattismo, caricando di potenza il messaggio che ne emerge.
Unitamente all’uso di materiali di recupero, che con una loro storia già vissuta possono raccontare prim’ancora di analizzare l’opera, le parole spiegano il messaggio del lavoro, facendosi parafrasi della poesia a volte di difficile comprensione.
Nella sua arte, vi è la sintesi della contemporaneità miscelata a culture tribali, a immagini mediatiche e a quelle della vita da strada, dove colori vivaci e cangianti, che testimoniano l’esuberanza e il desiderio irrefrenabile di raccontarsi, lasciano spesso spazio a grigi e neri incombenti, come una spada di Damocle pronta a lasciarsi cadere.
Tuttavia, l’Arte di Basquiat è piena di ispirazioni stilistiche dei grandi maestri che l’hanno preceduto, come Picasso e Dubuffet, a cui sembrano ispirate le sue scomposizioni scheletriche.
Nel 1982, dopo la rottura con la gallerista Annina Nosei, nel pieno della sua notorietà, Basquiat inaugura un nuovo filone tematico, che pone al centro il nazionalismo culturale di colore, con una particolare attenzione alla storia degli Stati Uniti.
Pur non essendo più negli anni sessanta, con le forme radicali di impegno sociale e di protesta, Basquiat vive in pieno il periodo reganiano, in cui vi è un ritorno del movimento BLACK.



Sono gli anni del riscatto di colore, dei primi RAP di successo, delle prime star del cinema che non siano di pelle bianca; non a caso, in quegli anni esplodono serie TV, poi diventate famose in tutto il mondo, come i ROBINSON e altre.
In questa fase, i blu e i rossi diventano dominanti, in un turbinio viscerale di passioni e di spiritualità senza soluzione di continuità.
Alla collaborazione con Andy Warhol, infine, Basquiat deve la consacrazione definitiva come Maestro del Novecento, capace di rielaborare linee e tratti, trasportando la figurazione nel suo mondo ideale, il mondo di quel fanciullo mai pienamente realizzato e apprezzato, che necessitava di sentirsi amato.
Ovviamente, Basquiat deve molto della sua fortuna a una favorevole congiuntura temporale, che ne ha fatto l’uomo giusto al posto giusto, l’artista che creava dal nulla ciò che il mercato chiedeva a gran voce.
Per tale motivo, Jean Michel Basquiat è uno dei pochi maestri del passato ad aver goduto di grandi ricchezze provenienti dai profitti per le sue opere, ma queste ricchezze, alla fine, sono state ciò che lo ha distrutto come individuo.
Basquiat muore il 12 agosto 1988, soffocato dai propri tormenti, dall’eroina e da un successo probabilmente impossibile da gestire per un bambino incastrato nel corpo di un adulto.