COME SI EVOLVE LA MUSICA
L’evoluzione della musica, dalla metà del Novecento a oggi, ci ha trasportato ai tunz, tunz delle drum machine, passando attraverso gli urlatori, il metallo pesante e i na, na, na…
di Pasquale Di Matteo
I negozi di strumenti musicali sono un primo vero parametro per comprendere come si evolve il mercato discografico e in quali direzioni vadano i suoi nuovi fruitori, musicisti e fan.
Ebbene, qualunque rivenditore specializzato è oggi orientato a concedere sale sempre più ampie all’elettronica, alle consolle, ai dispositivi di suoni robotizzati, ridimensionando gli spazi per pianoforti e, soprattutto, per le chitarre elettriche.
La chitarra elettrica attira un numero sempre minore di persone, proprio perché l’evoluzione della musica le concede ruoli marginali rispetto a un tempo.
Ma quello della strumentazione è soltanto un aspetto secondario della trasformazione della musica; infatti, le canzoni stesse sono molto differenti rispetto a un tempo.
Dalla fine del dopoguerra agli anni novanta, il tema che dominava la scena della musica era senza dubbio l’amore, declinato in forme sdolcinate, jazz, blues, pop e rock.



Poi, i testi hanno cominciato a farsi più impegnati, trattando di attualità in maniera sempre più frequente, e in questo frangente si sono inseriti i rapper, soprattutto quelli americani, che parlano della strada, delle vicissitudini reali della gente comune.
Anche lo stile di scrittura è cambiato, passando da una ricerca stilistica non sempre riuscita, a una sorta di rifiuto della stessa, che si configura in testi che spesso ripetono rime forzate, mentre la sintassi e i termini utilizzati sono molto più duri e di gran lunga meno eleganti ed eruditi.
Una volta, si facevano brani che erano destinati a durare, per essere ascoltati per almeno un anno, perciò si prestavano attenzione e tempo sia ai testi, sia per gli arrangiamenti, a cui si giungeva dopo sperimentazioni e ricerche del suono migliore di ogni strumento, mentre oggi è una corsa a dire tutto e subito, a gridare il disprezzo di una generazione totalmente assorta nel proprio presente, ma che sente di essere da esso fagocitata.
E tutto ciò si traduce in brani che vengono gettati in pasto al pubblico ogni mese, come carne venduta al dettaglio.
Perciò siamo bombardati da una serie di ritmi da drum machine e da suoni di campionatori e sintetizzatori che si ripetono, tutti uguali, deformando persino le voci in chiave robotica, seguendo il flusso continuo e generalizzato della musica del mondo globale, in cui anche le identità nazionali sono venute meno e dove persino parlare di stili anglosassone o latino comincia a risultare difficile.
Addirittura, ci sono brani che utilizzano le medesime basi acquistate in rete e remixate. Il niente che diventa qualcosa, ovvero macchina di soldi.
D’altro canto, la musica è comunicazione e i giovani autori non fanno altro che declinare il loro tempo, fatto di immagini che si bruciano immediatamente, di storie che si esauriscono dopo una serie di like, in una società del progresso in cui i media propongono modelli di perfezione, ricchi e di successo, il cui unico scopo nella vita è quello di circondarsi di oggetti per lo più inutili, in una corsa all’idolatria dell’egoismo che è disarmante.
Non a caso, i testi dei migliori autori giovani di oggi hanno una profondità che quelli di un tempo non avevano, se non in nicchie e in certi ambienti tutt’altro che commerciali: si è passati da minestroni del tipo “amore mio quanto mi manchi… senza te non vivo più”, a testi che parlano di droga, di stupri, di violenza, con un coraggio che un tempo erano inimmaginabili, soprattutto in Italia.
I giovani di oggi hanno un’attenzione a ciò che li circonda decisamente maggiore rispetto ai coetanei degli anni ottanta, anche se poi, a livello musicale, c’è un’involuzione.
Pensate alle tastiere introduttive di THE FINAL COUNTDOWN, degli Europe, che sembrano uscite stamattina dalla sala d’incisione, o ad alcuni brani dei Queen…


E in Italia, ricordate BELLA D’ESTATE del compianto Mango o NOTTE ROSA di Umberto Tozzi? Brani degli anni ottanta che presentano arrangiamenti sempre attuali e che dimostrano la ricerca e l’attenzione maniacale al suono dello strumento, all’armonia dell’arrangiamento e alla riuscita d’insieme.


Oggi i brani sono accompagnati dai ritmi da tunz, tunz, impostati dalla tecnologia, intorno ai quali vengono poi costruite le canzoni, voci distorte e suoni metropolitani che riecheggiano in un perpetuo loop che diventa una prigione.
Ciò non significa che sia sbagliato, mentre un tempo si faceva bene, ma soltanto che si sono persi arrangiamenti memorabili, tipo parti d’assolo indimenticabili, capaci di massaggiare le corde dell’anima, come quelli di Gary Moore, di Slash, in NOVEMBER RAIN, di Brian May, ormai esclusiva per palati raffinati e nicchie relegate nella musica Progressive e in ciò che resta del Metal.



Pensate al capolavoro di Vasco Rossi, GLI ANGELI, un brano dal testo straziante, dedicato a un amico scomparso, capace di sradicarti dal suolo al momento del fantastico assolo finale suonato da Michael Landau e inventato da Andrea Braido, che vorresti non finisse mai…



Tuttavia, la tecnologia ci ha portato anche la digitalizzazione di alcuni strumenti fantastici, come nel caso degli archi, aprendo nuove frontiere per lo sviluppo della musica.


Se è vero che la differenza che più si nota tra la musica di qualche decennio fa e quella odierna consiste nella durata nel tempo dei brani, oggi destinati a essere dimenticati nel giro di una stagione, e che la tecnologia sta cambiando radicalmente le gerarchie degli strumenti, togliendo lo scettro ad alcuni e riscoprendone altri, i nuovi artisti possono emergere, distinguendosi dalle masse, puntando sulla sperimentazione, la ricerca continua dell’eleganza e della raffinatezza.
Infatti, al di là di ritmi da drum machine tutti uguali e ripetuti, il vero artista può sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia per dare luogo ad arrangiamenti importanti, avvolgendo testi impegnati con armonie di suoni nuovi e coinvolgenti.
Perché, alla fine, al di là della tecnica, della difficoltà, della bravura… Conta arrivare all’anima delle persone e, se è vero che l’arte è comunicazione, farlo con raffinatezza è il mezzo migliore per consegnare un messaggio alla storia.
Infine, ricordo ancora mio nonno, il quale, ogni volta che un grande chitarrista cominciava un assolo, definiva ciò che ne scaturiva rumore, segno che restare al passo con i tempi è difficile e che non tutto ciò che si fatica a comprendere è per forza deleterio.