L’omicidio di J.F. Kennedy
Uno squilibrato che avrebbe agito da solo, ridicolizzando il più efficiente servizio di sicurezza del mondo. Documenti tanto scottanti da dover essere reinterpretati e riempiti di omissis. La teoria ufficiale della morte di Kennedy non regge nemmeno di fronte al semplice buonsenso.
di Pasquale Di Matteo
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Nel 2017, il presidente Trump liberò dal segreto di Stato una serie di documenti sull’omicidio Kennedy. D’altro canto, in seguito al clamore suscitato dal film “JFK” del regista Oliver Stone, il Congresso aveva approvato una legge apposita, President John F. Kennedy Assassination Records Collection Act, firmata dal presidente George Bush il 26 ottobre 1992, la quale prevedeva che tutta la documentazione coperta dal segreto di Stato fosse resa pubblica entro 25 anni dalla data della sua approvazione.
Tuttavia, dal 1992 gli Archivi nazionali degli Stati Uniti hanno reso pubblici e consultabili gran parte delle carte che riguardano la morte di Kennedy, ma con una quantità sostenuta di omissis e di passaggi modificati per motivi di sicurezza nazionale.
Di fatto, gli elementi che servono davvero non sono ancora di pubblico dominio o sono stati reinterpretati con numerose omissioni.
22/11/63 L’OMICIDIO DI J.F. KENNEDY: LA STORIA UFFICIALE
Kennedy fu ucciso il 22 novembre del 1963 a Dallas, in Texas, mentre si stava spostando su un’automobile scoperta, insieme alla First Lady, la moglie Jacqueline. Fu colpito a distanza da Lee Harvey Oswald, che sparò con un fucile dal sesto piano del Texas School Book Depository.
Le indagini della Commissione Warren svelarono solo che Oswald agì da solo, senza alcuna organizzazione alle spalle, né aiuti di nessun genere.
In verità, nel 1979 un’altra Commissione parlamentare giunse alla conclusione che Kennedy era stato probabilmente assassinato in seguito a una cospirazione.
La stessa commissione escluse il coinvolgimento di Cuba, dell’Unione Sovietica, della criminalità organizzata e di agenti deviati nelle agenzie di intelligence statunitensi, pur dichiarando, tuttavia, che singoli individui appartenenti a una o più di queste organizzazioni potessero aver partecipato autonomamente alla cospirazione.
D’altronde, la storia ufficiale non è mai riuscita a spiegare in maniera convincente molti aspetti oscuri della vicenda.
22/11/63 L’OMICIDIO DI J.F. KENNEDY: E SE FOSSE ANDATA IN QUESTO MODO?
22 Novembre 1963,
Dallas, Texas, Stati Uniti.
John F. Kennedy si era laureato a Harvard con il massimo dei voti, prima di venire insignito di una medaglia al valore, durante la Seconda Guerra Mondiale, per aver tratto in salvo quasi tutto il suo equipaggio, dopo che l’imbarcazione da lui comandata fu speronata e affondata.
Nel novembre del 1946, aveva vinto le elezioni per il seggio alla camera dei deputati e, nel 1952, era stato eletto senatore.
Cinque anni più tardi, aveva ottenuto il premio Pulitzer, con il libro Profiles in Courage, Ritratti del coraggio, e, l’anno seguente, era stato riconfermato al suo seggio al senato. Infine, l’8 novembre 1960, sconfisse Nixon e fu eletto trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, il primo cattolico della storia americana.
L’apice di una carriera di successo.



Alle 11.40, l’aereo atterrò all’aeroporto Love Filed di Dallas, quindi, alcuni minuti più tardi, il presidente e la First lady si affacciarono a salutare la folla, poi si diressero al corteo di auto, il cui ordine di posizionamento fu stranamente modificato pochi minuti prima dell’atterraggio del Presidente, così come il tragitto.
Perché?
Quando mancavano pochi minuti alle 12:30, il corteo raggiunse l’incrocio tra North Harwood Street e Main Street.
A capofila c’era una Ford bianca, seguita dall’auto del presidente, una Continental del 1961, poi una Halfback decappottabile, una Lincoln del 1964, 4 posti, una Varsity blindata e due auto con addetti della stampa.
Alle 12.30, la Lincoln con a bordo il presidente Kennedy passava lentamente di fronte al deposito di libri della Texas School, un’anonima scatola formata da più piani, con grosse finestre a sventrarne il cemento dei muri.
La limousine imboccò la curva, per immettersi su Elm Street, mentre, nascosto tra il fogliame della collinetta erbosa in Dealey Plaza, un cecchino seguiva il volto sorridente del presidente, imprigionato nel mirino del suo fucile di precisione.
Il cecchino sapeva bene che l’uomo a cui la Storia avrebbe attribuito l’assassinio di Kennedy non sarebbe stato in grado di portare a termine il compito assegnatogli neanche se si fosse preparato per un anno intero.
Tuttavia, Lee H. Oswald, psicolabile, nonché mentalmente disturbato, frustrato, violento e, soprattutto, filo castrista, incarnava alla perfezione lo stereotipo dell’assassino che avrebbe avuto tutti i motivi per compiere il delitto.
Oswald si sarebbe posizionato accanto a una finestra, al sesto piano della Texas School Book, in Dealey Plaza, da dove avrebbe fatto fuoco con un fucile analogo a quello del cecchino, un Mamnnlicher-Carcano di 8 libbre, calibro da 6,5 millimetri con ottica civile 4x.
Il cecchino udì un primo sparo e, all’istante, JFK smise di sorridere nel mirino della sua arma.
Tuttavia, come era prevedibile data la mediocrità del colpevole designato, Oswald mancò completamente il bersaglio.





A quel punto, il cecchino fece fuoco dalla sua postazione, ferendo il presidente alla gola, proprio mentre Kennedy cercava di ripararsi.
Oswald sparò altre due volte, ma senza ottenere il risultato che cercava. Il suo secondo colpo, infatti, colpì di striscio uno spettatore, lontano decine di metri dalla limousine, mentre il tentativo successivo ferì alla schiena il governatore Connally, seduto davanti al presidente.
Nel frattempo, a decine di metri di distanza, il cecchino aveva ricaricato e fu pronto a far partire il colpo decisivo, che centrò JFK alla testa, non lasciandogli scampo.
Oswald consumò un’altra inutile pallottola, prima di darsela a gambe. Poi, mentre tutte le forze dell’ordine accerchiavano la zona limitrofa alla Texas School, dall’altra parte della piazza il cecchino ebbe il tempo di smontare la propria arma prima di sgattaiolare via, mescolandosi al fiume in piena della folla spaventata.
A quel punto, la Lincoln presidenziale, guidata dall’agente Bill Greer, sfrecciò a tutta velocità, verso il Parkland Memorial Hospital, dove, poco dopo, i dottori Carrico e Perry, nonostante disperati tentativi, non poterono far altro che constatare la morte del trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy.
Fantasie?
Forse, ma non più dell’idea bizzarra secondo la quale un uomo solo, capace di mettere in scacco il servizio d’intelligence migliore del mondo, senza alcun tipo di aiuto, non fosse stato in grado di prepararsi una via di fuga.
E non meno fantasiosa del ritenere l’immediato omicidio di Oswall slegato da eventuali confessioni che il presunto assassino avrebbe potuto fornire agli inquirenti.
22/11/63 L’OMICIDIO DI J.F. KENNEDY: GLI ELEMENTI CHE NON QUADRANO
- Secondo il quotidiano The Atlantic, dal 2000 ad oggi, in mezzo alle centinaia di libri e documenti pubblicati sulla morte del Presidente Kennedy, sono cinque gli storici americani più autorevoli che insegnano all’Università ad aver scritto saggi con le ricostruzioni dell’omicidio Kennedy e ben quattro sono convinti che Kennedy sia stato vittima di un complotto e che Oswald non abbia agito da solo. Gerald McKnight, dell’Hood College, ritiene che l’omicidio potrebbe essere avvenuto col coinvolgimento di alcuni ufficiali dell’intelligence americana, mentre altri due colleghi, David Kaiser, del Naval War College, e Michael Kurtz, della Southeastern Louisiana University, concordano che a manovrare i fili di tutta la vicenda siano stati i piani alti della CIA.
- Il giorno dell’omicidio, seduto nell’auto di Kennedy c’era anche il Governatore del Texas, John Connally. Curioso il fatto che Connally compaia nei verbali delle varie inchieste italiane sulla Loggia Massonica P2, che fosse un fervente anticomunista e amico del venerabile Licio Gelli. D’altronde, come scritto dall’ex giudice Ferdinando Imposimato nel libro La repubblica delle stragi impunite: “È sorprendente, ma nelle storie tragiche di Kennedy e Moro si ritrovano gli stessi personaggi, legati alla mafia e alla massoneria, come il governatore del Texas, John Connally, e il suo braccio destro Philip Guarino“.
- La storia ufficiale parla di tre colpi sparati da Oswell, ma furono molti i testimoni che udirono più spari; perché non furono presi in considerazione dalla Commissione Warren?
- Come sostenuto dal giornalista americano Philip Shenon in Anatomia di un omicidio, che prende in esame l’intera vicenda Oswald-Kennedy, nella Commissione Warren vi è una serie di elementi documentali inoppugnabili, tenuti nascosti allo staff dei sette commissari o da loro male interpretati. Stupisce, ad esempio, che la Commissione non si sia insospettita in merito alla circostanza che i sistemi d’Intelligence non fossero stati a conoscenza del fatto che in un edificio adiacente alla strada dove il convoglio del presidente avrebbe rallentato, diventando un facile bersaglio, lavorasse un ex marine che non aveva mai fatto mistero delle sue convinzioni politiche filocomuniste. Non sapevano neppure che era stato per un lungo periodo in Unione Sovietica e aveva fatto tappa a Cuba. Non sapevano nemmeno che l’uomo in questione aveva dichiarato apertamente di voler vendicare Fidel Castro per “l’aggressione alla Baia dei Porci e per i tentativi di omicidio del leader cubano, organizzati dalla CIA con l’autorizzazione del presidente e l’aiuto della mafia italo-americana”. Cosa ancora più inquietante è che Oswald compie un viaggio durante l’ultima settimana del settembre 1963 a Città del Messico, quando il giovane, pur se semi-disoccupato, con moglie e due figlie a carico, decide di utilizzare i pochi soldi a disposizione per una misteriosa trasferta nella capitale messicana, seguita dalle telecamere di sorveglianza della CIA, che quindi non poteva non sapere, che lo riprende mentre entra ed esce più volte dalle ambasciate di Cuba e Unione Sovietica. Perché la CIA non ha preteso di scoprire i motivi di tale visita, ma, al contrario, sembra aver evitato di proposito di comunicare all’FBI questi e altri movimenti di Lee Harvey Oswald?
- La scrittrice messicana Elena Garro De Paz, presentò una dettagliata relazione all’ambasciata americana di una serata trascorsa in prima persona in un lussuoso appartamento di Città del Messico, un paio di mesi prima dell’omicidio di Kennedy, dove c’era anche Oswell, in compagnia di due uomini presumibilmente statunitensi. Quella sera era presente allo stesso party anche Eusebio Azque, capo dello spionaggio cubano a Città del Messico. Il numero due della sede diplomatica americana, Charles Thomas, riferì ai suoi superiori la notizia, ma poco tempo dopo venne inspiegabilmente richiamato negli Stati Uniti e, dopo breve tempo, licenziato senza apparente motivo. Dopo aver ricevuto la lettera di licenziamento, Charles Thomas scrisse un dettagliato memorandum per il Segretario di Stato americano – ritrovato anni dopo negli archivi della CIA – nel quale sostenne che la Commissione Warren non intese intenzionalmente prendere in esame i contatti tra Oswald e i Cubani. Poco dopo, Thomas verrà trovato morto in casa a causa di una revolverata alla testa. Si parlerà di suicidio, ovviamente.
- Perché il percorso del convoglio di Kennedy fu cambiato all’ultimo minuto, favorendo il passaggio proprio davanti al deposito da cui sparò Oswell? E perché variò anche il posizionamento delle vetture?
22/11/63 L’OMICIDIO DI J.F. KENNEDY: CONCLUSIONI
Sembra proprio che l’ipotesi dello squilibrato solitario, in definitiva, abbia fatto comodo a tutti, a cominciare dagli apparati di sicurezza americani che, in questo modo, hanno evitato di dover rispondere alla Commissione Warren delle loro incredibili mancanze nella prevenzione dell’attentato e dei depistaggi con i quali hanno tentato di celare, se non un probabile complotto, sicuramente la propria incredibile incompetenza.



E a nulla sono serviti i timidi tentativi di giustificare con inverosimili, quanto esilaranti ricostruzioni, la singolare traiettoria del proiettile che uccise Kennedy, che, come si vede chiaramente dal famoso video in cui esplode la testa del Presidente, arriva dal davanti, dalla collina erbosa in Dealey Plaza, e non dall’edificio in cui stava Oswell, proprio come sostenuto da numerosi testimoni che udirono un quarto colpo provenire da quella direzione, tanto che in molti si precipitarono lì in cerca del cecchino.
I testimoni che dichiararono alla Commissione Warren di aver udito gli spari dalla collinetta erbosa furono 58, ma fu detto loro che quanto ricordavano era errato.
Anni dopo si disse che un poliziotto aveva lasciato in quella zona la radio inavvertitamente accesa e che, quindi, i colpi che arrivarono dalla collinetta furono sentiti dalla radio.
Tuttavia, come si evince da quella registrazione, i colpi furono chiaramente 6. Perché, allora, si continua a parlare di 3 colpi?
Altra tesi è che la registrazione sia un falso. Allora, perché si continua a dire che i colpi sentiti da quella direzione erano frutto della radio accesa?
Oltretutto, tutte le indagini si sono sempre basate sul video di Zapruder, palesemente rielaborato, come dimostrato qui.
Ma esiste un altro video, girato da un amatore di nome Orville Nix, dai cui ingrandimenti effettuati dal regista Jean Michel Chaillet, si vede chiaramente un uomo posizionato proprio a ridosso della collinetta imbracciare un fucile, prima di scomparire dopo gli spari.
Come si può notare in questa bellissima puntata di La Storia Siamo Noi.
Oltretutto, come testimoniato da molti, persino un poliziotto mollò la sua motocicletta e si diresse con la pistola in mano verso la collinetta, nella direzione da dove molti avevano udito almeno uno sparo e visto del fumo.
E nemmeno convincono i risultati dell’autopsia, che si scontrarono fin da subito con quanto dichiarato dai medici che tentarono di salvare Kennedy, i quali spiegarono il foro alla gola del Presidente come “lesione frontale in entrata”, come ripetuto anche durante la conferenza stampa, senza dare adito ad alcun equivoco.
E poi, per quale ragione nel tragitto da Dallas a Washington scomparve il cervello del Presidente e il cadavere, a detta di chi lo visionò, presentava segni di un intervento chirurgico ufficialmente mai effettuato?
Inoltre, la vicenda di Elena Garro e di Charles Thomas non sono certo frutto dell’invenzione di mitomani, cospiratori o visionari, ma realtà inequivocabili quanto inquietanti.
Infine, comunque sia andata davvero, i documenti svincolati dal segreto di Stato non sono serviti finora e non serviranno a fare luce su quanto davvero accadde il 22 novembre 1963 a Dallas, né sul perché.
Se fosse andata come suggerito dalla versione ufficiale, innanzitutto alcuni tra i più autorevoli storici americani non sarebbero di certo convinti della cospirazione, in secondo luogo, i documenti coperti da segreto di Stato non dovrebbero essere fonte di alcun tipo di disagio, soprattutto perché sono trascorsi troppi anni perché si possa mettere a repentaglio la sicurezza di qualcuno.
Al contrario, il fatto che numerosi documenti imbarazzino la CIA, tanto da tenerli ancora lontani dai riflettori, e che la gran parte di quelli divenuti di pubblico dominio negli ultimi anni siano pieni di reinterpretazioni e di omissis voluti dagli apparati d’Intelligence è già una risposta più che esaustiva e che non ammette repliche.


Intervento dell’Intelligence o meno, John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America non fu assassinato da un folle.
Non da uno soltanto, almeno.