EDWARD HOPPER

EDWARD HOPPER

Edward Hopper è stato un esponente del realismo americano, attento alla solitudine e all’angoscia per i cambiamenti sociali del suo tempo.

di Pasquale Di Matteo

EDWARD HOPPER, GLI INIZI

Edward Hopper nacque il 22 luglio del 1882, in una piccola cittadina a ridosso del fiume Hudson, Nyack, nello Stato di New York, e fu stimolato dai genitori borghesi a intraprendere gli studi artistici, dopo che ne notarono l’attitudine fin da bambino.

La sua formazione fu un insieme di viaggi in Europa, a Parigi, Berlino, Madrid e Londra, e di studio, di tecniche e stili di maestri ch’egli ammirava, quali, tra gli altri: Goya; Manet; Monet; Pissarro; Degas.

In questi anni di sperimentazione, l’artista statunitense fece propri tagli e composizioni utilizzati dagli Impressionisti, ma rielaborandoli secondo criteri di suo gusto, in cui trionfavano il realismo e la poesia amara dei suoi temi, in particolare quello della solitudine.

EDWARD HOPPER, L’ESPRESSIONE ARTISTICA

Definito da più parti il più grande pittore realista americano, Hopper divenne famoso per i suoi protagonisti solitari e per i suoi agglomerati muti, per gli scorci metropolitani notturni, desolati, abbandonati.

Paesaggi riempiti da costruzioni architettoniche, strade, interni di abitazioni, di uffici, di teatri, di bar, locali e luoghi frequentati in genere da persone.

Scene in cui, quasi sempre, la luce è volutamente artificiale e dove i personaggi sono racchiusi in spazi geometrici definiti, come prigioni metaforiche che rimandano agli sviluppi sociali, spesso oppressivi per buona parte della popolazione americana.

Una pittura realista, ma metafisica, in cui la donna è spesso espressione dell’attesa, della speranza, quasi l’artista, nel denunciare il senso di smarrimento per le evoluzioni in atto, volesse anche aspettarne i reali sviluppi, prima di esprimersi in maniera più esaustiva in merito.

Personaggi soli e immobili, anche quando sono più di uno, assorti ad attendere un treno, a sorseggiare qualcosa in un bar, a osservare fuori da una finestra, senza alcuna interazione tra loro.

I contrasti tra luci e ombre amplificano la dissonanza del silenzio e dell’assenza di azione, che alimenta l’angoscia dello smarrimento dell’uomo, vero tema che si declina in tutta l’arte di Hopper, dove i personaggi sembrano tutti sorpresi in un blocco temporale.

Dopo le prime opere, in cui si vedeva l’influenza impressionista, l’artista maturò il proprio stile, avvicinandosi alla fotografia, sia per i punti di vista della scena, sia per i tagli angolari della luce e per le prospettive.

Tale maturazione stilistica è probabile sia stata resa possibile dal lavoro di illustratore, che Hopper svolse dal 1913 al 1923, periodo in cui la sua arte raggiunse un’essenzialità raffinata.

I protagonisti di Hopper sono distinguibili e raffigurati realisticamente, senza rivisitazioni sensazionalistiche, eppure, nonostante questa loro piena visibilità, essi sono soli.

EDWARD HOPPER, I NOTTAMBULI

Nelle opere di Hopper, spesso l’oscurità è qualcosa che circonda i protagonisti, che resta fuori dal centro della scena, come un bosco a ridosso di un’abitazione, oppure la città addormentata intorno a un bar, come nel caso de I NOTTAMBULI, una delle sue opere più famose.

Quest’opera sintetizza in maniera esaustiva tutta l’arte del pittore americano, con la scena di un notturno metropolitano, in cui il buio della notte è spezzato soltanto dalla luce del locale, dove alcuni individui, sfuggiti al sonno, stanno nello stesso luogo, eppure ciascuno è assorto, come in un’altra dimensione; come in un film noir.

Il locale, privo di porte esterne, sembra imprigionare i protagonisti, in cui il vestito rosso della donna, dai capelli ramati, spicca sul grigiore degli abiti dei due uomini seduti al bancone.

Un’opera in cui emergono anche i piccoli dettagli, come i vasetti del sale e del pepe e i due contenitori metallici contro il muro, che sembrano la replica in metallo dell’uomo e della donna seduti accanto, eppure estranei, nell’opera del grande maestro del Realismo americano.

EDWARD HOPPER: IL REALISMO AMERICANO

Il Realismo americano aveva visto i primi bagliori intorno alla metà del XIX secolo, con l’avvento dell’industrializzazione e della crescita esponenziale delle grandi metropoli e del conseguente depauperamento delle zone rurali.

Il movimento si caratterizzava per l’attenzione nei confronti di persone comuni, intente in attività quotidiane e, prevalentemente, in scorci urbani e metropolitani.

L’apice del Realismo americano si ebbe con la scuola di Ashcan, all’inizio del XX secolo, e vide tra i suoi massimi seguaci Robert Henri, pittore che ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Edward Hopper.

L’immediatezza delle opere di Hopper ne fece senza dubbio l’esponente più illustre, con la sua poetica animata dall’attenzione per personaggi umili, sgomenti e sopraffatti per i cambiamenti in atto nella società americana del suo tempo.

Arte della solitudine e dell’angoscia, in cui l’osservatore riesce a immedesimarsi nelle scene verosimili, provando le stesse sensazioni, ma dove i tagli di luce e gli sguardi assorti fanno pensare anche alla speranza del cambiamento, soprattutto nel caso delle raffigurazioni femminili.

EDWARD HOPPER: GLI ULTIMI ANNI

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l’avvento dell’Espressionismo Astratto, Edward Hopper fu vittima di un lento e graduale isolamento, sebbene, per alcuni aspetti di costruzione dell’opera, egli influenzò gli albori della Pop Art.

Nonostante la salute precaria condizionò gli ultimi anni della sua vita, l’artista continuò a dipingere grandi opere, almeno fino al 1963.

Edward Hopper morì nel 1967, lasciando il mondo dell’Arte mondiale priva di un grande analista sociale del suo tempo.

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