IL SELF PUBLISHING: NUOVA FRONTIERA A PATTO CHE…
Quella del Self Publishing è una moda sempre più diffusa. Tanti storcono il naso, perché sostengono che venga data alle stampe tanta immondizia, ma non è sempre così e ormai è diventato l’unico bacino da cui scovare talenti pei grandi editori.
di Pasquale Di Matteo
Ammetto che fino a qualche anno fa ero tra quelli che sostenevano che l’auto pubblicazione fosse la via più breve per gli sfigati, per quelli incapaci di scrivere che venivano gettati nel tritarifiuti dalle grandi e medie case editrici.
“Se uno ricorre all’autopubblicazione…”, mi dicevo, “è perché non piace a nessun esperto. Perciò il suo è libro spazzatura.”
Poi mi sono informato e sono guarito dalla mia ignoranza.
Per esempio, ho scoperto che in Italia non esistono più le case editrici, ma soltanto aziende che stampano libri. E ad essere semplici stampatori sono in primo luogo quelle che consideriamo le Case Editrici più importanti. Da quelle fabbriche di carta non esce un esordiente vero e puro da anni, da decenni, forse.
Basta entrare in una qualsiasi libreria per accorgersi che pubblicano soltanto nomi famosi.
D’altronde, pubblicare un esordiente significa rischiare, ma nel mondo finanziario di oggi, un fallimento costa il posto a una o a più persone. “Chi ha deciso di pubblicare questo libro che non ha venduto?”
Questa è la domanda che qualunque editore si pone quando si trova tra le mani un testo interessante, spesso profondo, ma che è scritto da un perfetto sconosciuto.
E non è vero, come invece sostengono in tanti, che l’autopubblicazione sia solo ambito per gente che non sa scrivere, poiché, se davvero si trova tanta spazzatura, ci sono anche moltissimi testi di spessore.
Non a caso, le stesse grandi Case Editrici leggono molti dei testi auto pubblicati, soprattutto quando i numeri di vendita sono interessanti. Addirittura, Feltrinelli ha una propria piattaforma per auto pubblicarsi e molti autori hanno poi fatto il salto nella casa madre.
È il caso, per esempio, di IO STO CON MARTA, di Giorgio Ponte, uno sconosciuto che fu rifiutato da tutte le grandi Case Editrici, da quelle medie e dalle piccole. Molti gli dicevano: “Il libro è ottimo, profondo e spassoso. Ma è rischioso pubblicarlo. Il comico vende poco. Perciò non possiamo farti una proposta editoriale.”

Giorgio Ponte decise di autopubblicare il suo romanzo e, nel giro di pochissimi mesi, vendette circa settemila copie.
Magicamente, gli arrivarono proposte da diversi editori importanti. Scelse Mondadori, che fu costretta a continue ristampe del testo, sempre esaurito in poche settimane.
Eppure, si trattava del medesimo libro rifiutato dalle stesse grandi soltanto uno o due anni prima.
Perciò, si dimostra come il Self Publishing non sia necessariamente il cancro dell’editoria, come qualcuno erroneamente pensa, anche perché l’editoria non esiste più da almeno vent’anni.
In pochissimi scommettono su testi scritti da esordienti e anche tra chi vi scommette, quasi nessuno effettua un lavoro di editing professionale a proprie spese.
Le grandi preferiscono pubblicare spazzatura letteraria di letterati del calibro di Francesco Totti, Roger Federer o Antonino Cannavacciuolo. Ora, non me ne vogliano questi grandissimi nei rispettivi campi, ma sono certo del fatto che il novantanove per cento dei mediocri aspiranti scrittori sia un miliardo di volte meglio a scrivere. Ma loro sono famosi e le loro vite interessano al pubblico. Sono spendibili.
Perché non esiste più l’editoria. Un libro non deve essere più piacevole e interessante, bensì spendibile, appunto.
Quindi sto affermando che l’unica strada sia il Self Publishing? No, ma se non siete famosi, è la più interessante per diversi motivi.
Innanzitutto, non rischiate di perdere i diritti di un testo che, potenzialmente, potrebbe diventare una serie TV o un film di successo.
In secondo luogo, se avrete delle vendite dignitose, state certi che verrete letti dai migliori editori italiani, che faranno a gara per pubblicare il vostro libro.
Ma c’è un però.
Il testo deve essere almeno buono, meglio se eccellente.
Non mandate in autopubblicazione un testo che non sia editato. Svilirebbe il vostro valore come scrittori e non sarebbe un buon biglietto da visita. Quando inviate un manoscritto a una casa editrice ci sta che non sia editato (anche perché in un mondo normale dovrebbero editarlo loro).
Ma se lo pubblicate e lo vendete, il libro DEVE essere editato.
Poi, fate corsi su come pubblicizzarlo, ma prima ancora, ponetevi tante domande. Perché dovrebbe piacere a tante persone? Sono pronto a scrivere altre cose di questo genere? Riuscirò a scrivere meglio in futuro? Ho qualcosa da dire? C’è un messaggio nella mia storia?
Io stesso, in questo periodo, sono in fase di editing insieme a una nota editor italiana. Il mio romanzo, IL SEGRETO DI LUKAS KOFLER, uscirà nel 2021. Sto valutando le proposte degli editori tradizionali, ma non ho ancora escluso il Self Publishing, proprio in virtù dei tanti aspetti positivi che offre rispetto all’editoria tradizionale.
Ovviamente, se arrivasse una proposta da pezzi da novanta, l’autopubblicazione non ha senso, ma se l’alternativa è una casa editrice meno conosciuta di voi, non scartate l’idea di fare da soli.
Se è vero che i grandi leggono i libri auto pubblicati che hanno successo, quelli dati alle librerie da editori sconosciuti finiscono spesso nel dimenticatoio.
Negli Stati Uniti, per esempio, il Self Publishing non è la norma, ma moltissime penne brillanti si sono fatte notare attraverso questo mezzo, che non è affatto considerato sbagliato.
Perciò abbandonate i pregiudizi e cercate di scrivere ottimi testi. Fateli editare, confezionate un’ottima copertina e una buona impaginazione. Affidatevi a editori per autopubblicazioni o alle tante piattaforme online.
Lasciate perdere le critiche. Se anche vendeste milioni di copie con Mondadori, trovereste sempre qualcuno pronto a dire che il pubblico è ignorante poiché vi legge. Ciò che conta sono le vendite, crearvi un pubblico e arrivare ai grandi. Il resto è aria fritta.
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