SANDY SKOGLUND
Sandy Skoglund è una delle artiste più innovative e importanti del realismo onirico e del surrealismo statunitense. Famosa in tutto il mondo per le sue istallazioni fotografiche, che sono frutto di sperimentazioni di materiali, tecniche e scenografie, attraverso cui racconta l’artificiosità del nostro tempo.
di Pasquale Di Matteo
Che la fotografia sia un mezzo per sviscerare le dinamiche sociali è conclamato fin dai primi anni del Novecento, con la straight photography, che si poneva come obiettivo la rappresentazione diretta della realtà, fino all’avvento della staged photography, che, al contrario, non mostra quanto esistente e visibile, ma prevede elaborazione e costruzione delle scene da fotografare.




Tra le espressioni più importanti di questa corrente vi è Sandy Skoglund, artista americana capace di governare luce e colori, nella geometria della scena prim’ancora che nello scatto.
Nata l’11 settembre 1946, nel Massachusetts, Skoglund cresce seguendo le necessità del lavoro del padre, funzionario della Shell, obbligato a continui spostamenti, nell’Iowa, in Texas, in California, nel Massachusetts.
Tra lavori stagionali a Disneyland e studi anche presso istituti importanti, Sandy Skoglund frequenta corsi di pittura, di regia, di xilografia e di arti multimediali.
Nel 1972, arriva a New York, dove prosegue ad affinare i propri interessi artistici e si avvicina alla fotografia.
L’uguaglianza, la produzione in serie, con le rigide regole del mercato, sono i temi con i quali l’artista ama confrontarsi, fino alla Guerra Fredda, che vive in pieno, nel 1980, con il boicottaggio dei Giochi olimpici di Mosca da parte degli Stati Uniti.
Nelle sue opere, la Skoglund sviscera la società americana, violenta nelle sue periferie, dolce e trasognata nei quartieri alti.





Le sue creazioni d’immagine sono installazioni elaborate, la cui costruzione è un lavoro di coreografia e di regia estremamente complesso, in cui l’artista ricostruisce ambienti prevalentemente domestici, in contesti fiabeschi, dove trionfano elementi e stili che spaziano da un realismo di natura onirica fino al surrealismo.
Mondo animale, ma anche oggetti comuni e il cibo sono protagonisti delle installazioni, delle quali l’artista realizza le sculture, colora, progetta, fino ad assemblare la scena come fosse un film, introducendo personaggi in carne e ossa.
Per la Skoglund, introdurre il mondo animale nelle sue opere è un invito a rivedere la tesi per cui l’uomo sarebbe l’unica coscienza nel mondo, in una chiave alternativa che l’artista intende proporre come motivo di riflessione.
Le fotografie dell’artista americana obbligano gli interlocutori a fermarsi, per ragionare su ciascuno degli elementi inseriti, che, insieme ai colori, formano scene surreali, in cui si respirano la genialità metaforica che si fa magia nell’espressione stilistica.
La monocromia della stanza diventa complementare a quella delle sculture, di animali o di oggetti, di colore diverso, che sono frutto di uno studio che può richiedere anche sei mesi per la realizzazione di una singola scena da fotografare, che fondono la visione del sogno a quello dell’incubo, trattando i temi più cari all’artista.

Nelle installazioni di Sandy Skoglund, pur essendo l’unica presenza reale e viva, quella umana risulta, tuttavia, distaccata dal contesto, non in grado di comprendere cosa accade intorno, per cui gli anziani che vivono la stanza grigia e svilente di Radioactive Cats non si accorgono di una moltitudine di gatti verdi, radioattivi, così come avviene in Revenge of the Goldfish, con gli umani che vivono una gravità differente rispetto alla stanza, in cui fluttuano pesci rossi in una sorta di acquario blu, dove sono le persone a sembrare fuori dal contesto.
Non solo contesti domestici, tuttavia, ma anche spazi aperti, creazioni di paesaggi onirici, spesso inquietanti, sono teatro per i racconti dell’artista americana, capace di giocare con gli elementi fin qui trattati, ma anche con l’utilizzo delle texture e di statue con sembianze umane inserite accanto a esseri umani reali.
Il mondo di Sandy Skoglund è fatto di sperimentazione, sia di materiali, sia di tecniche, in cui ogni fotografia e ogni installazione prendono forma dopo molti mesi di lavoro, di studio e di prove, tanto che l’artista difficilmente riesce a produrre oltre un’opera all’anno, nel suo continuo viaggio espressivo con cui racconta e stigmatizza l’artificiosità del nostro tempo.