GENERAZIONE SBANDATA
C’è una netta differenza tra il coraggio dimostrato dai nostri genitori e la paura che alimenta la realtà del presente. Non a caso, ciò che loro hanno conquistato, noi ce lo stiamo lasciando sottrarre senza battere ciglio.
di Pasquale Di Matteo
La storia avanza ciclicamente. Ogni inizio secolo presenta lotte e miseria. Rivoluzioni, guerre civili e grandi carestie. Solo per ricordare gli ultimi, il diciannovesimo secolo si aprì con i moti del 1820-1821. Il ventesimo con la Prima Guerra mondiale.
E anche in questo nuovo millennio, le cose non sono cambiate.
Tuttavia, emerge un altro dato: i nostri genitori avevano più coraggio di noi.
Erano mediamente meno istruiti e c’era una minor cultura generale, ma quando si trattava di difendere i propri diritti, non si tiravano indietro.
Basta ricordare soltanto che cosa accadde durante gli anni sessanta e quante leggi a favore dei lavoratori furono emanate in quel periodo. Ma da che cosa nacquero se non dalle proteste di quelli che venivano indicati come irresponsabili, folli, terroristi, criminali…?
Oggi, invece, il secolo si è aperto con la disgregazione di molte norme favorevoli ai lavoratori, (vedi articolo 18), nel silenzio generale. Lasciamo che le conquiste dei nostri padri vengano scippate senza battere ciglio.
E in questi mesi viviamo la più grande soppressione delle libertà costituzionali mentre la maggior parte del popolo non soltanto è silente, ma si scaglia contro i pochi che hanno gli occhi aperti e il coraggio di denunciare la criminale politica dispotica.
È solo mancanza di coraggio?
Io non credo.
Innanzitutto, non è vero che i nostri genitori fossero meno acculturati, anzi… Oggi, si tende a istruirsi nei campi della tecnica, delle scienze e della tecnologia. Materie professionalizzanti, ma che affrontano soltanto marginalmente filosofia, sociologia e storia, elementi indispensabili per aprire la mente, per imparare ad apprendere e per analizzare il contesto in cui si vive. Per comprendere un contratto e anche solo per avere l’accortezza di leggerlo.
O per prendersi del tempo per leggere una legge sottoposta a referendum e non votare di pancia.
Non si filosofa più. Addirittura, chi si permette di disquisire sui vari temi del vivere viene definito tuttologo.
Persino Umberto Galimberti si è sentito definire in tal maniera, qualche tempo fa.
L’Italiano medio è profondamente ignorante delle materie che formano la vera cultura generale. Mi sono imbattuto in ingegneri che non sapevano chi fosse Gronchi; in informatici che al nome Rudolf Hess hanno risposto che non amavano i suoi romanzi, scambiandolo per Hermann Hesse; in infermieri che non avevano la più pallida idea di cosa fossero i tratti prosodici; in fisioterapisti che conoscono Cartesio soltanto per sentito dire… La lista è lunga, purtroppo.
Perciò, il termine “tuttologo” diventa uno scudo, estrema difesa degli ignoranti per non soccombere di fronte alla cultura altrui. “Poiché non ho la più pallida idea di che cosa stia dicendo… non conosco questi argomenti e non capisco come faccia a parlare su tutto… Sei un tuttologo.”
Persone che non ammettono che qualcuno possa saperne di più perché legge e si documenta di più. Perché ha studiato e studia di più.
I nostri genitori avevano l’umiltà di pendere dalle labbra di chi sapeva, come nelle fabbriche, per esempio.
Ma è solo l’ignoranza endemica a differenziarci dai nostri genitori? Ignoranza e mancanza di attributi?
Non solo.
Un tempo, nella gran parte delle famiglie lavorava soltanto l’uomo. Le donne erano madri, mogli e casalinghe. C’erano meno soldi, ma anche meno necessità. Non esistevano i telefoni cellulari, i dispositivi elettronici, gli abbonamenti ai canali televisivi privati. In pichi potevano permettersi auto nuove. Non esistevano i finanziamenti personali.
Non c’erano indebitati.
Oggi, invece, si acquista tutto a rate. Il telefono, il computer, la Tv, l’automobile, persino le vacanze.
Un giorno di sciopero mette in crisi per gli impegni assunti. I nostri genitori dovevano pensare all’affitto, alle bollette e alla spesa. Nella nostra realtà, in troppi devono aggiungere una serie infinita di altre scadenze che fino agli anni ottanta non aveva quasi nessuno. Cosa che ci rende schiavi.
Ciò genera una paura diversa. Si vive perennemente su un filo, con il timore di precipitare nel vuoto.
Qualcuno vive nel benessere, molti nel finto benessere, e tutti hanno paura di perdere ciò che hanno.
“Se si scende in strada, poi che succede alla nostra auto? Alla casa? Ai miei vestiti…?”
Sono cambiati persino i rapporti tra sindacati e imprese. Non esistono più i contratti collettivi, se non sulla carta. In qualsiasi azienda, non esiste un dipendente che prenda la stessa cifra di un collega. Spesso, a vantaggio del merito. Ma in molti casi, quelli che un tempo si definivano “padroni” pagano superminimi al dipendente più acculturato sul Diritto, quello più coraggioso, che pretende il rispetto dei propri diritti e sa di che cosa parla.
Ciò inibisce ogni azione contro la dirigenza, qualsiasi sciopero o altro atto per rivendicare qualcosa. Le masse necessitano di un capo che accenda la miccia. I “padroni” lo hanno capito da tempo. Li pagano di più ed evitano problemi.
Ecco perché siamo una popolazione più egoista di quella dei nostri genitori. Tutti hanno qualcosa da perdere. Perciò in pochi riescono a comprendere che non è vero che navighiamo sulla stessa barca.
Il lockdown, le restrizioni, le misure contro l’influenza spacciata per la peste non colpiscono in egual misura. È vero che siamo tutti nello stesso mare. Ma qualcuno prende il sole, sdraiato su uno yacht, alcuni su di uno spazioso gommone, altri nuotano con l’acqua sotto il mento.
Ciò che manca più di ogni altra cosa è la capacità di analisi. La capacità di aprire la mente per andare oltre l’immagine, oltre il racconto. Ecco perché la propaganda ha raggiunto lo scopo di diffondere la paura, unica vera pandemia.
Basta recarsi in Germania, in Austria, in Svezia, in Giappone, per accorgersi che la psicosi italiana è più unica che rara. Persino negli Stati Uniti o in India, dove i morti sembrano numericamente elevati, ma ci si dimentica di rapportarli alla totalità della popolazione.
Nessuno si accorge del fatto che siano spariti Giappone e Cina dalle notizie. In pochi prendono in considerazione le parole di luminari come Bassetti, Rebuzzi, Zangrillo…
Non ci si interroga neppure sulle parole del direttore dello Spallanzani, che ha certificato l’assenza di pandemia in Italia, “i vaccini vanno testati all’estero poiché da noi non ci sono malati.”, ha detto.
M chi conosce la storia sa bene che ignoranza e paura sono facce della stessa medaglia. Ciò che non si conosce spaventa. Ciò che la propria mente non è in grado di analizzare terrorizza.
Quindi, la differenza tra la nostra generazione e quella dei nostri genitori è data da dinamiche sociali diverse, che hanno creato disparità che prima non esistevano. Ma anche dall’incapacità di filosofare per la manifesta ignoranza dei più. Infine, per una mancanza di attributi per cui se un genitore dovesse definirci sfigati, ne avrebbe tutto il diritto. Ciò che loro hanno costruito in anni di battaglie, ce lo stiamo facendo rubare con una complice vigliaccheria.