IL RUOLO DELL’ARTE DURANTE I DISPOTISMI

IL RUOLO DELL’ARTE DURANTE I DISPOTISMI

I dispotismi che videro la luce agli albori del secolo scorso poterono contare tutti sulla paura generata dalla grande guerra. Politiche e uomini forti furono alimentati attraverso la paura. Le masse venivano bombardate da grandi operazioni pubblicitarie, parate e manifestazioni militari organizzate dai migliori scenografi e sceneggiatori dell’epoca.

di Pasquale Di Matteo

Hitler e Mussolini, e in parte Stalin, devono al largo uso dello strumento della paura e dei meccanismi della Comunicazione sociale le loro ascese al potere.

L’immagine e la comunicazione visiva erano gli strumenti attraverso i quali il potere orientava la paura, facendone fondamenta per costruire il consenso.

Laddove l’istruzione e la cultura erano più carenti, tali procedure incontravano ampio proselitismo, proprio in virtù dell’assenza di competenze del pensiero, del sapere e, di conseguenza, dello strumento indispensabile alla libertà dei popoli, ovvero la capacità di analisi.

Benito Mussolini – Immagine di Proprietà del Web

Non a caso, Giuseppe Bottai, ministro della cultura della dittatura di Mussolini, diede ampio risalto al cinema, svilendo l’arte pittorica, per due motivi fondamentali: innanzitutto, la cinematografia poteva veicolare i messaggi del regime a una fetta più ampia della popolazione e in un tempo minore, in secondo luogo, i pittori non erano tutti facilmente addomesticabili, anche se tutto il settore dell’Arte del colore fu fortemente ridimensionato, attraverso una campagna che favorì astio tra le diverse manifestazioni, tra le città più importanti, fino a screditare la stessa Biennale di Venezia, prima con la Quadriennale di Roma, poi uniformando l’arte al pensiero unico del regime, tanto da sminuire fortemente la caratura internazionale dell’evento.

Durante il Ventennio, sorsero come funghi concorsi pittorici a tema decisamente fascista, le cui opere dovevano rappresentare le famiglie assorte ad ascoltare i discordi del Duce alla radio, oppure le fatiche nei campi o le glorie militari, come, tra gli altri, il Premio Cremona, istituito nel 1939, a cadenza annuale fino all’entrata in guerra dell’Italia.

L’Arte era anche un chiodo fisso di Adolf Hitler, che da giovane sognava di diventare artista, ma che fu bocciato più volte all’esame di ammissione all’Accademia di Vienna.

Forse proprio in virtù dei suoi fallimenti, una volta giunto al potere, egli si scagliò brutalmente contro i movimenti più innovativi del mondo dell’Arte, verso i quali nutriva, evidentemente, una forte invidia.

Nella sua illogica perversione, basata su una perniciosa ignoranza delle dinamiche dell’essere umano, Hitler si scagliava contro tutti i movimenti che non raffiguravano la bellezza del corpo così come semplicemente colto dal senso visivo.

Per il dittatore tedesco, l’arte doveva manifestare l’operosità della razza ariana, focalizzando l’attenzione sulla bellezza delle proporzioni del fisico, senza sperimentazioni cervellotiche che esaltassero, invece, l’analisi delle dinamiche sociali, deturpando tratti e fisionomie.

L’imperativo categorico dei regimi era indottrinare le masse attraverso l’immagine, sfruttando ciò che era alla portata di tutti.

Ecco perché Dadaismo, Cubismo, Futurismo, Espressionismo e Impressionismo furono in gran parte inseriti ne L’Arte degenerata, perché sostanzialmente incomprensibile da chi, come il dittatore tedesco, non avesse un minimo di cultura indispensabile per poter andare oltre l’immagine; una sorta di paura di scontrarsi con una realtà che, nell’analisi, avrebbe sgretolato le granitiche certezze su cui si fondavano follia e ignoranza del suo impero.

I veri artisti contemporanei, di Pasquale Di Matteo, scrittore, critico d'arte, opinionista
I veri artisti contemporanei, di Pasquale Di Matteo, scrittore, critico d’arte, opinionista

Altro aspetto che i dispotismi hanno sempre fatto propri è l’infallibilità della Scienza, anteposta all’arte, in ogni sua forma, e alla Filosofia, fatta eccezione per tutti i luminari non contrari alle tesi cavalcate dal regime, in qualunque campo e in ogni circostanza.

L’Anatomia e la Psichiatria ne sono esempi lampanti in quegli anni, con la voglia psicotica di vaccini, razze geneticamente perfette e la cancellazione di ogni devianza psichica. Ovviamente, tra le principali devianze vi erano l’anticonformismo e l’avversione nei confronti del regime.

La megalomania del regime hitleriano approvò anche la realizzazione di un immenso progetto architettonico che avrebbe rivoluzionato la morfologia urbana della città di Berlino, in funzione della costruzione di viali enormi, in modo da ospitare parate militari oceaniche, nonché residenze per le stanze del potere di dimensioni faraoniche.

Parata militare tedesca- Immagine di Proprietà del Web

Tuttavia, una cosa che balza all’occhio è proprio il ruolo da protagonista del popolo, italiano per Mussolini, tedesco per Hitler, in cui la banalità dell’ignoranza diventava il motore per l’esaltazione del pensiero unico, dell’uniformità all’infallibilità del governo e che isolava e condannava senza alcuna possibilità chiunque dissentisse.

Ciò che accade oggi, in un presente che ha sospeso ogni forma di democrazia e sdoganato offese nei confronti della Carta Costituzionale e dei principi che sancisce.

I media perseguono il solito schema caro a tutte le dittature moderne: paura, soluzione, indicare come nemico chiunque sia scettico sulla soluzione.

Una propaganda a senso unico. Un reality della paura che è diventato l’unico collante di un governo altrimenti diviso su tutto il resto, retto da una maggioranza improponibile.

Ogni volta che un personaggio noto contrae il virus, i media si fanno più psicotici. Ma lasciano passare con scarso risalto le guarigioni, che poi sono al 100%: Johnson, Bolsonaro, Zingaretti, Porro, Briatore, Rossi, Pellegrini, Maionchi, Zanicchi, Conte, Conti, Trump, Mancini… Persino l’84enne Berlusconi, già debilitato da altre patologie.

Una pandemia che senza l’obbligo di tampone per il lavoro e senza il milione di vaccinati che è corso a tamponarsi prima di pranzi e cenoni, registrerebbe un paio di migliaia di casi positivi.

Mentre una vera pandemia, come la peste e il vaiolo, la vivi già scendendo in strada, senza il bisogno di un giornalista che te la racconti.

E, in questa comunicazione a senso unico, si sbeffeggia chiunque la pensi diversamente, che si tratti di un luminare scientifico, o di opinionisti e filosofi che si permettono di porsi domande, perché chi non si conforma al pensiero indicato come unica verità sbaglia a prescindere e va ridicolizzato dai tifosi del potere. Ormai tutti assuefatti al mondo orwelliano.

Molti scienziati si scagliano contro i loro stessi colleghi che non hanno pubblicato sulle riviste scientifiche, riducendo il dibattito a una sorta di inquisizione, dove se non si è riconosciuti dalla massa, si finisce per fare la fine di Galilei, che per la comunità scientifica sbagliava e fu abiurato. Un folle del suo tempo.

Eppure, sappiamo che folli furono quelli che lo costrinsero all’abiura.

Il governo italiano chiede un appiattimento al pensiero unico, sulla base della paura, ridicolizzando chiunque socraticamente metta in dubbio le severe misure messe in atto, senza che si accetti un dibattito in merito al disastro economico e al devastante impatto sociale che già si stanno manifestando, unitamente a una realtà ben diversa da quella promessa dagli spot di inizio 2021.

Inoltre, ciò dimostra come, benché siano trascorsi diversi decenni, la nostra società non abbia facoltà culturali maggiori di quelle che diedero la possibilità ai dispotismi del novecento di proliferare: basta la paura per zittirsi in massa.

Un po’ ciò che racconta in chiave tragicomica il film con Leonardo DiCaprio, Don’t look up, di cui puoi approfondire cliccando qui.

Tornando all’arte, oggi come durante i dispotismi, anche tra i pittori e tra tanti critici e storici dell’arte, c’è un’ignoranza di comprensione che è imbarazzante, tale per cui interi settori dell’arte sono ritenuti spazzatura, L’arte degenerata del duemila. E, come nella Germania nazista, chiunque produca opere di concetto, che esaltino la forza del messaggio e che affrontino le dinamiche sociali del nostro tempo, viene demonizzato, cercando di spostare l’attenzione sul rifugio dell’ignoranza: la bellezza dell’immagine.

Un’incapacità che è fonte essenziale per chi, proprio sulla paura e sull’ignoranza, riesce a fare proselitismo e a controllare le masse. Mentre un tempo si usavano la radio, il Cinema, le parate militari e i cartelloni pubblicitari, oggi si usa il Web, dove i Social sono la nuova fonte di propaganda, esponenzialmente più efficace grazie alla prepotenza del passaparola.

Ma c’è la possibilità di interrompere questo trend aberrante, che vede ignoranza e isteria collettiva prevalere sul raziocinio e la responsabilità?

Sì, e, ancora una volta, ci viene in soccorso la Storia.

Innanzitutto, anche durante i regimi dittatoriali del secolo scorso, accanto a molti pittori che ebbero paura e, sostanzialmente, adeguarono i loro colori alle richieste che giungevano dall’alto, qualcuno non smise mai di essere in aperta polemica con il potere.

In Italia, per esempio, nel 1938 nasceva il gruppo Corrente, apertamente schierato contro le politiche e le tesi del regime, ma anche contro l’opinione largamente diffusa nelle masse.

In Corrente si ritrovavano diversi filosofi, scrittori, attori teatrali e, ovviamente, pittori, tra cui si ricorda Renato Guttuso, membro del Partito Comunista e contrario al Fascismo.

CROCIFISSIONE, di Renato Guttuso – Immagine di Proprietà del Web

Il grande artista fece parlare di sé per l’opera Crocifissione, in cui la nudità di tutti i personaggi, la prepotente alterazione dei tratti umani e animali, nonché lo svilimento della croce, evidenziata come stortura dell’uomo e non assuefatta alla diffusa esaltazione dell’aspetto mistico, ne fecero un autore blasfemo.

Il Segreto di Lukas Kofler, di Pasquale Di Matteo, scrittore, critico d'arte, opinionista
Il Segreto di Lukas Kofler, di Pasquale Di Matteo, scrittore, critico d’arte, opinionista

Altra risposta forte all’ignoranza e all’intolleranza del pensiero unico e dispotico, lo diedero i cittadini europei più acculturati e aperti alla sperimentazione nel mondo dell’Arte, quando il regime hitleriano aprì al mondo LA MOSTRA DELL’ARTE DEGENERATA, con cui il regime nazista intendeva ridicolizzare agli occhi del mondo la visione artistica di centinaia di pittori degenerati, attraverso l’esposizione di migliaia di opere che, successivamente, sarebbero state distrutte proprio in virtù della loro contrarietà alla bellezza, alla banalità del mero gusto visivo e perché non rispondevano ai messaggi di propaganda divulgati dal potere, ma ne erano, al contrario, in aperto contrasto.

Opere ridicolizzate da scritte offensive durante la mostra Arte Degenerata – Immagine di proprietà del Web

Ebbene, il regime fu costretto a verificare l’inaspettato successo della manifestazione, sebbene ne avesse vietato la visita ai più giovani, con un numero di visite triplo rispetto alle manifestazioni ritenute ufficiali, tanto da dover prorogare le date per mesi, facendone una mostra itinerante, per non rischiare ripercussioni a livello diplomatico, creando un forte imbarazzo a Hitler e nella popolazione più intransigente; così, migliaia di capolavori che filosofavano attraverso il colore furono esposti non solo a Berlino, ma anche ad Amburgo, a Vienna, Francoforte, Salisburgo…

La dimostrazione che la cultura e la capacità di analisi possono sviluppare una forza inarrestabile, in grado di piegare l’oltranzismo dei regimi più spregevoli.

L’Arte, perciò, anche nel nostro triste momento, in cui a ottenere proselitismo sembra essere sempre chi riesce a usare nel migliore dei modi la paura, non può e non deve esimersi dal raccontare, dal filosofare in merito a quanto accade.

Ovviamente, si viene posti ai margini, si viene ridicolizzati, ridimensionati, persino offesi, poiché chi fonda il potere sulla paura trova ampio consenso tra le masse in cui prevale l’ignoranza.

Purtroppo, a differenza del secolo scorso, vi è un’esaltazione mediatica tale per cui la superficialità delle mode ha un’incidenza maggiore nel nostro tessuto sociale, laddove lo svilimento del sapere e della capacità di analisi ne risulta amplificato, anche perché gli stessi governi, il nostro in primis, alimentano la tesi secondo la quale la tecnica e la scienza sarebbero preferibili alla Filosofia e alle materie umanistiche, reggendo tali affermazioni sul bisogno di trovare impieghi ben retribuiti.

Tali inviti, invece, se da un lato producono linfa numerica alla manovalanza ricercata dalle imprese, dall’altro formano milioni di individui altamente qualificati a far andare le mani, ma totalmente incapaci a livello intellettivo, degli idioti sapienti, per cui non stupisce che oggi molti studi certifichino l’incapacità di comprendere un testo scritto da parte di molti Italiani.

Pertanto, non deve far gridare allo scandalo il fatto che solo nicchie di persone siano capaci di andare oltre l’immagine, oltre il senso visivo, e che sappiano trattare di temi di spessore.

Ma, proprio per questa mancanza di cultura, il vero artista resta quello capace di filosofare, di sviscerare il presente, anche a costo di essere isolato e bistrattato, perché l’arte e la Filosofia si fondono sulla cultura, che è coraggio, racconto, voglia di analizzare, mentre l’ignoranza è il seme della paura, del silenzio, dell’omertà, dell’appiattire a propria ‘opinione a quanto sostenuto dalla maggioranza.

Durante i dispotismi, nessuno escluso, le masse fanno quadrato intorno al capo, e quasi sempre per paura, non per reale convinzione.

L’arte è l’unica strada alternativa, l’unico codice in grado di decifrare le notizie criptate e le falsità di quanto ottriato attraverso i media.

Come accaduto in ogni epoca e sotto ogni regime.

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