CHI UCCISE LUIGI TENCO E PERCHÉ

Il Festival di Sanremo fu teatro di una tragedia che ancora oggi smuove le coscienze e dà adito a sospetti e illazioni. La dinamica della morte di Luigi Tenco, così come ci è stata raccontata, è talmente inverosimile e piena di elementi discordanti che chi avrà la voglia di arrivare alla fine di queste righe scoprirà come e perché il cantautore sia stato ucciso dal Sistema Sanremo contro ogni ragionevole dubbio.

di Pasquale Di Matteo

LUIGI TENCO: COS’È IL SISTEMA SANREMO

Alle ore 2:10 del 27 gennaio 1967 il cantautore Luigi Tenco fu trovato morto nella sua stanza d’albergo, la 219 della dependance dell’Hotel Savoy di Sanremo.

“Signori e signore, buonasera. Diamo inizio alla seconda serata con una nota di mestizia per il triste evento che ha colpito un valoroso rappresentante del mondo della canzone. Anche questa sera per presentare le canzoni è con me Renata Mauro. Allora Renata, chi è il primo cantante di questa serata?”.

Se la cavò così la RAI, la sera dopo la scomparsa di Luigi Tenco, con questa frase di apertura di Mike Bongiorno.

Il Festival andava avanti, con buona pace di chi non c’era più.

La gente aveva voglia di voltare pagina, di dimenticare in fretta quanto accaduto, di non parlarne mai più.

Lo voleva la gente, l’organizzazione della Rai o, piuttosto, l’intero sistema che intorno al Festival guadagnava?

Per capirlo, bisogna fare una breve introduzione.

A metà degli anni sessanta, il Festival di Sanremo era diventato la manifestazione più importante che si tenesse in Italia. Intorno al festival non ruotava solo il potere finanziario delle major della discografia, con i loro indotti, né l’evento si esauriva con le serate trasmesse alla RAI.

Il Festival di Sanremo era diventato un appuntamento fisso che, annualmente, misurava diversi parametri della nazione, dall’aspetto economico a quello sociologico.

I motivetti più o meno orecchiabili che si sentivano fischiettare nelle settimane immediatamente successive alla fase finale della manifestazione raccontavano della trasformazione di una nazione che stava dimenticando il periodo più buio della propria storia e si risollevava dopo le sciagure della guerra.

Il Festival di Sanremo non era più soltanto una gara tra canzoni italiane, ma rappresentava, anno dopo anno, le mille sfaccettature che la società andava assumendo in seguito al boom economico, con la nascita della classe media.

Dopo l’avvento di Domenico Modugno, il primo cantautore, le canzoni si stavano trasformando da motivetti più o meno banali, che parlavano solo d’amore e senza mai scavare nello strato apicale del vivere, in testi più sottili e impegnati.

Erano nati i cantautori, che trasmettevano nelle loro creazioni tutta la potenza delle idee, tanto che qualcuno cominciava a muovere i primi passi verso testi che sarebbero divenuti via via sempre più resoconto di problemi sociali e politici, con il sessantotto alle porte.

Inoltre, così come durante il periodo che portò alla sua ideazione, il Festival di Sanremo aveva anche una cornice meno nota e non certo limpida come la fiaba che raccontava la Tv.

Un sottobosco che rischiava di venire a galla quando uno di quei cantautori impegnati fu trovato morto nella sua stanza dopo essere stato eliminato dalla serata finale della manifestazione.

Il Festival di Sanremo era diventato così importante e in grado di richiamare ingenti capitali, da divenire motivo di astio tra Italia e Francia perché i casinò della Costa Azzurra non reggevano il passo con quello di Sanremo e del suo straordinario festival popolare.

Era così dirompente che persino Confindustria se ne lamentava apertamente con i politici, poiché durante la settimana della finale trasmessa dalla RAI l’assenteismo nelle fabbriche quintuplicava.

Ed era importante politicamente, poiché il Vaticano temeva una deriva dei valori tradizionali nelle nuove mode lanciate dai beniamini del pubblico.

Ma attorno al Festival di Sanremo ruotava una quantità enorme di denaro, un flusso costante e inimmaginabile che proveniva da attività illecite di mezzo mondo. Come si era scoperto negli anni cinquanta, quando la Magistratura aveva processato i vertici di alcune case farmaceutiche italiane che producevano droga, poi immessa nei canali illegali e spedita ai vertici della mafia statunitense da quella italiana, attraverso mafiosi del calibro di Lucky Luciano, che girava indisturbato per tutta la Penisola, appoggiato da politici e finanzieri importanti.

Dalle inchieste della Magistratura emerse che il casinò di Campione versava fino all’80% come fondi occulti destinati al Ministero dell’Interno, soldi usati per i servizi segreti.

Non è escluso che tutti i casinò seguissero abitudini simili, compreso il più ricco e famoso.

D’altro canto, bisogna ricordare che il Festival di Sanremo esplose proprio in concomitanza con l’operazione DEMAGNETIZE, con la quale bisognava annichilire ogni attrazione comunista nel nostro Paese, quindi i servizi d’intelligence avevano bisogno di denaro, di fiumi di denaro.

Quindi, il fatto che la mafia realizzasse forti profitti grazie alla vendita della droga e che tutto quel denaro venisse riciclato anche attraverso il casinò di Sanremo, per lo Stato era il minore dei mali, poiché, da un lato poteva finanziare la lotta al Comunismo, dall’altro tenersi buoni faccendieri ricchi e potenti.

Anche dopo il processo alla Schiapparelli, che aveva dimostrato come molte aziende farmaceutiche tramassero con laboratori clandestini per produrre droga, e dopo alcune leggi più restrittive emanate sul tema, l’Italia continuava a essere il principale fornitore per i mafiosi oltreoceano.

L’oppio grezzo arrivava nei porti di Napoli, Genova e Trieste, quindi finiva in Francia, dove nei laboratori clandestini della malavita marsigliese si trasformava in droga, per poi essere diluita nei meccanismi del mercato nero, che soddisfaceva i bisogni di tutta Europa.

All’Italia era destinata una quota maggiore proprio in virtù del fatto che i Padrini dovevano smerciarne la gran parte in America.

Ciò che restava nel Bel Paese era smerciata tra chi poteva permetterselo e il casinò di Sanremo era un punto cardine del sistema, soprattutto durante il Festival, che attirava una moltitudine di possibili clienti.

Un pozzo di soldi senza fine dal quale attingevano personaggi del calibro di Joe Adonis, Angelo La Barbera, Gaetano Badalamenti, fino ad arrivare a uomini più vicini alle istituzioni italiane e vaticane, come Michele Sindona.

Tuttavia, il Festival di Sanremo rischiò di vedere la parola fine per colpa di una donna procace, dal fascino avvenente.

La cantante Jula de Palma, alias jolanda Maria Palma, la sera del 29 gennaio 1959 si esibì con la canzone TUA, con un testo carnale e scabroso, per i tempi, che creò imbarazzo tra una parte della popolazione e il Vaticano.

Per alcuni, quello sembrò il pretesto giusto per andare incontro alle lamentele mosse dalla Francia, così, alla Questura di Ventimiglia arrivò l’ordine perentorio di sospendere il festival.

Fu incaricato un giovane funzionario di Polizia, Arrigo Molinari, il quale, inspiegabilmente, non portò a compimento quanto ordinato e, come egli stesso raccontò anni dopo, subì solo la ramanzina del Questore di Imperia, Carmelo Carella.

D’altro canto, come si è visto, il governo aveva molto da perdere se il Festival di Sanremo fosse stato sospeso: milioni di vacanzieri festivalieri avrebbero abbandonato la riviera e i casinò si sarebbero svuotati, cancellando ingenti somme di denaro da destinare alla lotta al Comunismo e alla miriade di buste che giravano tra i salotti di mezza Italia per ungere i politici più in vista.

Comunque, il clamore suscitato da Jolanda Palma fu talmente elevato che la cantante fu costretta ad assumere in fretta e furia una guardia del corpo poiché temeva per la propria incolumità, cosa che fecero, in verità, e inspiegabilmente, anche altri cantanti.

LUIGI TENCO, IL POETA UCCISO DA SANREMO

A rigor di logica, verrebbe da pensare che quando uno stia per suicidarsi, abbia voglia di spiegare il proprio gesto e, magari, di salutare amici e parenti, invece, poco prima di farla finita con un colpo di pistola alla tempia, Luigi Tenco avrebbe scritto un messaggio che oggi potrebbe essere il testo di un banalissimo sfogo postato su Facebook, minacciando di fare qualcosa.

Anzi, in verità, oggi sui Social si posta di peggio.

“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sia stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda IO TU E LE ROSE in finale e una commissione che selleziona LA RIVOLUZIONE. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi”

Il termine “selleziona” non è un errore di battitura, ma quanto recita il biglietto in questione, senza alcun dubbio un errore che Tenco non avrebbe mai potuto commettere in circostanze normali, anche sotto il forte stress di chi stia per suicidarsi.

Nelle frasi “… non perché sia stanco della vita (tutt’altro)” e “Spero che…” c’è tutto il controsenso dell’idea del suicidio, perché, solitamente, nella disperazione di chi è prossimo a farla finita non c’è posto per la speranza, tanto meno si è felici della vita che si conduce, come invece quel tutt’altro lascerebbe intendere.

Senza contare il fatto che la presunta firma del cantautore in calce al biglietto era ben diversa dalla solita, e in maniera assai evidente anche a un occhio inesperto.

Tuttavia, il biglietto d’addio di Tenco è l’unica prova con un briciolo di credibilità a supporto della tesi secondo la quale la sua morte sarebbe riconducibile a un gesto disperato dell’artista.

Ed ecco perché tale ipotesi è la meno plausibile.

L’Hotel Savoy era uno scatolone in cui si incastravano quattrocento stanze, posizionate su diversi livelli a seconda del rango degli ospiti.

La stanza di Luigi Tenco era la numero 219, ricavata negli spazi un tempo destinati al personale di servizio, poiché il cantautore non era un pezzo da novanta.

Non ancora.

Lo sarebbe diventato la notte tra il 26 e 27 gennaio 1967, quando al commissario Arrigo Molinari fu affidato il compito di indagare sul perché l’artista giacesse morto, sul pavimento della sua stanza.

Un caso di suicidio che fa discutere ancora oggi, dopo oltre cinquant’anni.

LUIGI TENCO. MA CHI ERA?

Luigi Tenco era un poeta.

Manifestava la sua arte attraverso la musica leggera, ma le sue parole erano forti, misteriose, spesso ermetiche, e aprivano le porte verso mondi inesplorati e pieni di domande per riflettere.

Era nato il 21 marzo 1938 a Cassine, un piccolo centro in provincia di Alessandria, ma aveva vissuto la sua infanzia a Genova.

Fin da piccolo aveva mostrato una naturale predisposizione per la musica, ma, pur suonando diversi strumenti, le sue dita sembravano essere nate per muoversi sui tasti bianchi e neri del pianoforte, con il quale instaurò un feeling particolare che lo portava a sviluppare semplicemente anche i complessi passaggi della musica jazz di cui era appassionato.

Fu notato giovanissimo dalla Ricordi, che gli offrì un contratto discografico, e fu così che arrivarono alla ribalta pezzi straordinari della musica italiana, come “Mi sono innamorato di te”  e “Vedrai, vedrai”, diventando un protagonista della scuola genovese, di quel gruppo di cantautori intellettualmente e politicamente impegnati in temi sociali cari alla Sinistra dell’epoca.

Luigi Tenco aveva un viso normale, da ragazzo perbene, educato, come quello che si può trovare posizionato sul corpo di un comune vicino di casa in un quartiere tranquillo, un uomo che piaceva alle donne per il suo fascino tenebroso, e che, a differenza di quanto lascerebbero ipotizzare i suoi splendidi testi impregnati di malinconia, non era affatto triste.

Al contrario, gli amici più intimi lo ricordano come un ragazzo allegro, dotato di un’ironia sottile e laconica, un uomo la cui abitazione di Roma era un via vai di conoscenti, un porto di mare.

LUIGI TENCO: PERCHE’ SI SAREBBE DOVUTO UCCIDERE?

Per l’edizione del 1967, il Festival di Sanremo prevedeva che le canzoni fossero interpretate da due diversi artisti; Luigi Tenco presentò la sua Ciao Amore Ciao in coppia con la cantante francese Dalida.

Come dichiarò più volte, il cantautore genovese nutriva molte aspettative su quel pezzo, tanto che in alcune interviste si diceva persino convinto di poter vincere.

Tuttavia, la sua esibizione fu imbarazzante, cantò malissimo e sembrò persino essere svogliato o sotto l’effetto di qualche medicinale. (I più maligni parleranno in seguito di droga).

Sta di fatto che, alla fine della serata, il suo brano risultò dodicesimo in classifica e fu eliminato dalla gara, scartato anche dalla commissione artistica, che ripescò Gianni Pettenati e Gene Pitney, in gara con La Rivoluzione.

Secondo il racconto di chi gli stette accanto durante quelle ore, Tenco era fortemente contrariato, persino incredulo della sua esclusione.

Quando raggiunse il ristorante Nostromo con la propria auto, in compagnia di Dalida e di alcuni amici, per cenare insieme a tutto il suo staff della casa discografica, Tenco era talmente adirato che decise di andarsene poco dopo.

Prese la sua auto e si diresse verso una destinazione sconosciuta.

Per lungo tempo, secondo la teoria del suicidio, si pensò che Tenco si fosse diretto subito all’Hotel Savoy e che, una volta entrato nella sua stanza, avesse parlato per circa un’ora con la sua fidanzata.

Nel corso degli anni, invece, è emerso che il centralino dell’hotel non registrò mai nessuna comunicazione di Tenco, il quale chiamò da un altro luogo, tesi confermata anche dalle tracce di sabbia che in alcune foto si notavano tra i capelli, sui vestiti e sulla sua auto, granelli che quando l’artista aveva lasciato il ristorante Nostromo non c’erano.

La fidanzata Valeria affermò di aver dialogato con Tenco fino all’una di notte, quando lui le aveva confidato che stava gettando gli appunti per le dichiarazioni che intendeva rilasciare durante la conferenza stampa del giorno successivo, durante la quale aveva intenzione di rendere noti i meccanismi perversi e le truffe che muovevano le fila del Festival di Sanremo.

Valeria affermò di averlo lasciato più sereno, tanto che l’artista la lasciò promettendole che presto sarebbero partiti per una vacanza in Africa.

Un’ora più tardi, invece, Dalida trovò il suo cadavere nella stanza 219.

LUIGI TENCO: INDAGINI GROSSOLANE PER DEPISTARE

Inspiegabilmente, quando il commissario Arrigo Molinari fu informato della morte di Luigi Tenco, questi, senza aver nemmeno visionato la scenda del crimine, comunicò subito all’ANSA che l’artista era morto suicida.

Sulla base di quali prove e testimonianze potesse affermare una cosa del genere non è dato saperlo.

Anche per colpa dei dirigenti della RAI, che volevano concludere la vicenda il prima possibile per non dover interrompere la manifestazione, le indagini furono condotte grossolanamente, in fretta e furia, senza svolgere l’autopsia sul cadavere, né alcun tipo di analisi sulla pistola e sugli eventuali bossoli.

Addirittura, il cadavere fu rimosso dalla stanza prima di fotografarlo, perciò riportato all’Hotel Savoy e ricollocato nell’esatta posizione in cui era stato scoperto, o almeno questo è ciò che dichiarò Molinari, quello della dichiarazione in merito al suicidio senza aver nemmeno iniziato a indagare.

A trovare il cadavere di Tenco fu Dalida.

Mentre si trovava ancora presso il ristorante Nostromo, la cantante aveva ricevuto una telefonata, con la quale fu informata del fatto che Luigi Tenco non si sentisse bene.

La donna salutò i commensali perché voleva correre dall’amico, ma, anziché precipitarsi all’Hotel Savoy, passò prima ad acquistare delle sigarette e poi andò dal suo ex marito, un faccendiere di nome Lucien Morisse, arrivando da Tenco dopo oltre quaranta minuti.

I due furono poi visti uscire insieme dalla stanza numero 219 dal giornalista Sandro Ciotti.

LUIGI TENCO: COSA NON TORNA NEL SUICIDIO

La polizia riconsegnò alla famiglia dell’artista la sua pistola, una Walther PPK 7.65 che Tenco aveva acquistato poiché, come aveva confidato sia ai parenti, sia ad alcuni amici, si sentiva minacciato e temeva per la propria vita.

Innanzitutto, non è chiaro il motivo per il quale la polizia consegnò l’arma al fratello di Tenco, inoltre, come confermato da diversi testimoni, di quella pistola non c’era traccia nella stanza 219.

Tra le mani del cantante, infatti, fu prelevata una Beretta calibro 22, come confermato anche dal giornalista esperto d’armi del Corriere della Sera, Mino Duran, le cui mani presero la pistola da quella del presunto suicida la notte del 27 gennaio 1967.

Sandro Ciotti, oltre ad aver visto Dalida e l’ex marito, riferì anche di non aver sentito alcuna detonazione, nonostante la sua stanza si trovasse nelle immediate vicinanze di quella di Tenco, circostanza confermata anche da Lucio Dalla, né lo sparo fu udito da altri, cosa assolutamente impossibile vista l’ora tarda e il silenzio.

Nel 2006, fu finalmente riesumato il cadavere dell’artista per sottoporlo a un’autopsia, i cui risultati confermarono, a detta degli inquirenti, la teoria del suicidio.

Tuttavia, gli stessi inquirenti non sono in grado di spiegare come sia possibile che sulle mani di Tenco non siano state trovate tracce evidenti del fatto ch’egli abbia sparato.

In questi casi, infatti, è necessario individuare tre elementi che non possono mancare: Antimonio, Bario e Piombo. Se non si trovano, o se ne manca anche uno solo, l’esame è negativo.

Sulle mani di Tenco furono trovate particelle di Antimonio, come è solito riscontrare tra chi usi abitualmente accendini, così come era consuetudine per il cantautore, che era un fumatore.

Non vennero riscontrate invece tracce di Bario e Piombo, segno incontrovertibile del fatto che le mani di Tenco non spararono.

Tracce di Antimonio, Bario e Piombo furono rinvenute sulla testa del cantante.

Qualche giornalista ipotizzò che fossero scomparse con il tempo, ma la cosa è impossibile, poiché si tratta di sostanze non degradabili e riscontrabili anche dopo molti decenni.

Inoltre, l’autopsia non evidenziò neppure particelle di sangue sulle mani del cantante.

Tuttavia, in maniera incomprensibile ai più, in seguito all’autopsia, la Procura parlò di suicidio contro ogni ragionevole dubbio.

Assai improbabile è anche la storia legata al proiettile che uccise Tenco.

Durante le frettolose indagini del 1967, non si trovò alcun bossolo, tanto che gli inquirenti stabilirono che il proiettile doveva essere rimasto nel cranio dell’artista.

Nel 2006, invece, magicamente, spuntò fuori il bossolo della PPK di proprietà di Tenco, che comunque non si trovava tra le mani del cantante quando ne fu rinvenuto il cadavere.

Secondo il parere del Dott. Martino Farneti, direttore della balistica della Polizia scientifica di Roma, non certo quello che si potrebbe definire un complottista, i colleghi di Sanremo si sbagliavano miseramente, poiché i segni del bossolo magicamente ricomparso erano riconducibili a una Beretta modello 70 e non alla pistola di proprietà di Tenco, cosa che si collega perfettamente con quanto dichiarato dal giornalista del Corriere della Sera che esaminò l’arma che uccise l’artista.

Il Dott. Martino Farneti - Foto di Propietà del Web
Il Dott. Martino Farneti – Foto di Propietà del Web

Farneti dichiarò anche che i segni sul bossolo evidenziavano l’uso di un silenziatore, dinamica senza dubbio compatibile con il fatto che nessuno udì mai la detonazione del colpo.

Oltretutto, fa riflettere il fatto che il modello di Beretta in questione fosse quello in dotazione alle forze di polizia fino al 1990, circostanza che fa supporre anche che qualcuno l’avesse lasciata nella stanza proprio per giustificare il foro nel cranio di Tenco, in assenza di un’arma da fuoco nelle vicinanze.

Nel 1994, fecero scalpore alcune foto rimaste inedite fino ad allora pubblicate dal settimanale Oggi, in cui il volto del cadavere di Tenco mostra segni evidenti di percosse, mentre il referto della polizia del 1967 riportò solo il foro in entrata di un colpo d’arma da fuoco.

Osservando le foto, diversi esperti hanno stabilito che Tenco fosse stato percosso, in quanto gli ematomi presenti sia sulla parte frontale che in zona occipitale sarebbero impossibili da ricondurre a eventuale caduta del cadavere.

Altra incongruenza vistosissima è data dagli abiti del cantante: in alcune foto si notano tracce di sangue evidenti, mentre in altre il colletto della camicia risulta persino lindo.

Chi rivestì il cadavere di Luigi Tenco e perché?

Più tardi, il commissario Arrigo Molinari si scoprirà essere un agente vicino ai servizi segreti, appartenente alla P2 con la tessera 767, colluso con l’operazione Gladio, accuse dalle quali il funzionario di Polizia si difese, sostenendo che la sua iscrizione alla Massoneria fosse dovuta a ragioni di servizio.

Fu lo stesso Molinari, d’altronde, a dichiarare nel 2004 a Paolo Bonolis, che lo stava intervistando proprio in merito alla morte di Luigi Tenco a Domenica In: “… indubbiamente non è stato un suicidio… Lo posso dire con sicurezza”.

Molinari verrà trovato morto ammazzato nell’hotel di proprietà della moglie, il 27 settembre 2005 all’età di 73 anni.

LUIGI TENCO: CHI LO UCCISE E PERCHÈ?

Dalle testimonianze e dai racconti di chi orbitava nella vita di Tenco nelle ore a ridosso della sua morte emerge che i moventi per un suo delitto sarebbero diversi.

Il più semplice è riconducibile a una rapina finita male: il pomeriggio del 26 gennaio, Luigi Tenco aveva vinto al Casinò una discreta somma, circa tre milioni di vecchie lire che non furono mai trovate.

Altra ipotesi, sempre legata ai soldi, è che il cantante navigasse in cattive acque e fosse vistosamente indebitato, probabilmente nei confronti di chi non voleva più aspettare.

Le due ipotesi, inoltre, potrebbero tranquillamente incastrarsi l’una nell’altra: Tenco vince una bella somma, la consegna la sera ai suoi debitori, magari incontrandosi sulla spiaggia che dista solo 600 metri dal suo albergo, e qui, avvertendo i suoi creditori che sta per spifferare tutto il marcio che ruota intorno al mondo della canzone, al festival e al Casinò, firma la sua condanna a morte.

Se Tenco avesse scoperto le carte, molti artisti famosi rischiavano di veder concludere le relative carriere, come poteva accadere anche a Dalida, con la quale il cantante aveva una relazione sentimentale.

L’ex marito della star francese, Lucien Morisse, si era fatto largo nel mondo dello show business e pare che agisse a stretto contatto con la malavita che introduceva le sue estroflessioni nel mondo dello spettacolo.

Lucien Morisse e Dalida - Foto di Propietà del Web
Lucien Morisse e Dalida – Foto di Propietà del Web

L’uomo fu interrogato sbrigativamente, insieme all’ex moglie, e lasciato libero di tornarsene in Francia subito dopo.

Scappò da Sanremo e dalla vicenda di quel pazzo che si sparò un colpo alla testa per essere stato estromesso dalla gara, solo per recitare lo stesso copione l’11 settembre 1970, quando si suicidò a sua volta.

Anche Dalida tentò il suicidio più volte, fino a riuscire a compiere l’opera nel luglio del 1983, quando si lasciò uccidere dai gas di scarico dell’auto del suo compagno di allora, che volle seguirla in quel macabro gesto.

Inutile nascondere che l’ambiente dello spettacolo avrebbe avuto tutto da perdere e nulla da guadagnare se uno come Luigi Tenco avesse puntato i riflettori su quanto avveniva dietro le quinte.

Tomba di Luigi Tenco - Immagine di Proprietà del Web
Luigi Tenco – Immagine di Proprietà del Web

Il mondo dello spettacolo e quello dell’industria discografica erano inquinati dalla politica, dal narcotraffico, dalla malavita organizzata e dal gioco d’azzardo.

Uno show business che doveva continuare, in nome della lotta al Comunismo e dei conti correnti di molti che si arricchivano grazie al Sistema Sanremo.

C’erano troppi interessi in ballo perché un poeta da quattro soldi, rancoroso nei confronti di un mondo che anch’egli aveva utilizzato per sbarcare il lunario, portasse tutto alla luce del sole.

La nazione doveva continuare a nutrirsi della magica favola raccontata dalla TV.

La malavita e gli interessi che il festival generava dovevano andare avanti.

Lo spettacolo non poteva fermarsi.

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