VINCENT VAN GOGH

VINCENT VAN GOGH

VINCENT VAN GOGH, TANTO INCOMPRESO DALLA SUA GENERAZIONE, QUANTO UNICO E LARGAMENTE IMITATO DOPO LA SUA MORTE.

di Pasquale Di Matteo

VINCENT VAN GOGH: GLI INIZI

Non si può distinguere l’arte di Vincent Van Gogh dalla sua vita privata, poiché creare una dicotomia tra la sua espressione artistica e il suo vissuto non permetterebbe di comprenderne le opere.

Van Gogh è stato uno dei più grandi pittori della Storia, capace di piegare la natura secondo gli aspetti della sua personalità, plasmandola in raffigurazioni sottratte ai paesaggi in grado di sconvolgerlo nel suo tanto vagare.

Belgio, Francia, Olanda, Inghilterra… Van Gogh ha contemplato borghi, città importanti, come Londra e Parigi, e distese di campi a perdita d’occhio che hanno colorato la sua mente, mosso la sua mano e riempito la sua anima di passione, amore, malinconie e gioie, in un turbinio esasperato, spesso addirittura assordante, culminato in una serie di capolavori che oggi sono battuti all’asta a cifre da capogiro.

E non si può raccontare Vincent Van Gogh senza tenere in considerazione il fratello Theo, al quale il grande pittore scrisse per una vita intera, raccontandogli i suoi giorni come avrebbe fatto con un diario, in una serie infinita di lettere, poi pubblicate negli anni cinquanta del secolo scorso su permesso della vedova di Theo Van Gogh.

Vincent Van Gogh nasce il 30 marzo 1853, a Zundert, nei Paesi Bassi.

In età adolescenziale si avvicina all’arte grazie a uno zio, che lo assume nella sua ditta di mercanti.

VINCENT VAN GOGH: IL MERCANTE

Inizia così il suo viaggio nel mondo dei colori, in cui frequenta maestri indiscussi della pittura e viene a contatto con movimenti che avrebbero fatto la storia dell’Arte.

Prima all’Aja, poi a Londra, infine a Parigi, sempre per lavoro, Vincent Van Gogh è sempre più rapito dalle opere pittoriche, da quei colori e quei tratti di cui racconta al fratello Theo nelle sue frequenti lettere.

Proprio nella capitale francese, acquista stampe di pittori affermati, come Daubigny, Maris, Corot e Millet.

VINCENT VAN GOGH: IL SUO RACCONTO A COLORI

Nel 1876, Van Gogh lascia il suo lavoro di mercante per trasferirsi a Ramsgate, in Inghilterra, dove trova un impiego come vice istitutore presso una piccola scuola, in cambio di vitto e alloggio, intraprendendo il cammino che, nelle intenzioni del pittore, lo avrebbe portato a diventare pastore.

E qui si focalizza uno dei temi cari all’artista dei tulipani, ovvero il legame tra l’uomo e il creatore.

Si prepara persino a intraprendere gli studi di Teologia all’Università, per seguire le orme del padre, che era un pastore, ma ben presto Latino e Greco finiscono per annoiarlo, non soddisfacendo la sua indole impulsiva, perciò preferisce frequentare i corsi di una scuola di evangelizzazione a Bruxelles, comunque animato a diffondere il Vangelo.

Nell’autunno del 1878, Van Gogh diventa predicatore laico in una piccola cittadina del Borinage, regione mineraria del Belgio in cui l’artista viene rapito da quello che forse è l’aspetto più importante di quella che sarà la sua arte: l’umiltà.

Van Gogh resta folgorato dalla vita dei minatori, fatta di fatica, di rischio, di sudore e di tanta umiltà, appunto.

Tuttavia, la sua esperienza lavorativa dura poco e, dopo che non gli viene rinnovato l’incarico, comincerà, di fatto, a dipendere da una serie costante di donazioni fattegli dal fratello Theo, che continua a fungere da diario segreto.

Torna a Bruxelles, prende lezioni di disegno, vive in contesti rurali, dove trova nell’umiltà un filo conduttore tra la vita dei contadini e quella dei minatori, nella semplicità di famiglie unite in uno scopo.

Van Gogh è a tal punto infatuato da questo mondo che disegna ripetutamente scene di contadini intenti nelle più disparate attività quotidiane, fino a immortalare gruppi familiari intorno al tavolo, lavorando per ore e ore, al lume di candela, per catturare tutte le sfumature delle ombre.

Durante questo periodo è ospite di suo padre, ma i rapporti tra i due non sono idilliaci e ben presto Van Gogh si trasferisce all’Aja, dove prende in affitto un suo studio.

È in questo periodo che si sviluppa ulteriormente l’attenzione del pittore verso i temi sociali, tanto da arrivare a ospitare in casa una prostituta, sollevando un grosso scandalo.

Il suo amore viscerale per l’arte di Rubens, lo spinge a trasferirsi ad Anversa, per assistere a una mostra del suo beniamino, poi trova ospitalità a Parigi a casa dell’amato fratello Theo, che, nel frattempo, sta facendo carriera nell’azienda dello zio.

È il periodo della storia con Agostina Segatori e, soprattutto, dell’incontro di Van Gogh con i maestri impressionisti, che, se non trascinano il pittore olandese in questa corrente, ne influenzano indiscutibilmente i tratti delle sue pennellate e la visione d’insieme dei colori, così come già era stata capace l’arte orientale in cui si era imbattuto in passato nel precedente impiego di mercante.

La fine della storia con la Segatori e il bisogno di tranquillità spingono Van Gogh ad abbandonare Parigi.

VINCENT VAN GOGH: I CAPOLAVORI

Si trasferisce in Provenza, dove Van Gogh matura il proprio stile personale in tutte le sue sfumature, esaltando visioni e colori all’ennesima potenza, accostando all’attenzione per la vita umile la passione per la vastità dei campi, dei cieli tersi e dei girasoli, simbolo del divino nell’iconografia cristiana.

Per qualche tempo, ospita il suo amico Gauguin, ma la convivenza termina con un litigio violento in cui Van Gogh si arma persino di un coltello e finisce per ferire se stesso a un orecchio, in un impeto di esasperazione che racchiude l’intera esistenza del grande pittore.

Quella stessa esasperazione che si ritrova nelle sue pennellate piene di colore, quasi materiche, eppure brevi, isteriche, in grado di esagerare il contorno di luce di una stella, ingigantire i movimenti degli alberi sferzati dal vento, fino a creare cieli di nuvole a spirale.

Nelle opere di Van Gogh, le pennellate sono legate l’una all’altra, spesso con la tecnica a cellette, e danno vita a colori vivaci, rappresentando il senso di attaccamento di Van Gogh per ciò che lo circonda nel momento stesso in cui lo dipinge.

Il senso del legame è un aspetto fondamentale nella vita, come nell’arte di Van Gogh, che più volte confessa a Theo il suo amore per l’edera, pianta rampicante che si lega inesorabilmente al muro, così come Vincent è legato al fratello in un legame simbiotico.

La grandezza di Vincent Van Gogh sta nell’essere stato capace di tracciare il terreno per gli espressionisti, partendo dal naturalismo e facendo propri molti aspetti dell’Impressionismo e della pittura arabesca e orientale, soprattutto nell’uso dei colori.

Con il bagaglio di un’infanzia fatta di norme severe impartite dal padre e l’indole fragile dell’artista, egli ha trovato nella pittura un campo di battaglia per combattere la diatriba interna tra quanto gli era stato impartito dall’educazione e ciò che gli suggeriva la sua anima, un luogo in cui far esplodere tutte le sue inquietudini, i tormenti e le pulsioni che lo animavano, individuando una sua strada, con la quale ha costruito uno stile unico e inconfondibile, nonché tra i più imitati ai giorni nostri.

Attraverso le proprie pulsioni esplosive, i tormenti, la personalità ribollente e un animo tremendamente fragile, Van Gogh ha trovato nella pittura un mezzo per raccontare non solo ciò che vedevano i suoi occhi, ma l’interpretazione che ne scaturiva dalla lettura della sua anima.

L’uso costante del giallo e del blu testimoniano il bisogno dell’artista di far esplodere le sue pulsioni in una violenta energia manifestata sulle tele, ma, al tempo stesso, la necessità di ricongiungere all’intimità del sé e alla meditazione l’attenzione per i valori, per gli affetti, per le persone care e per la natura che ci circonda.

VINCENT VAN GOGH: LA GRANDEZZA DELL’UMILTA’

Il 27 luglio 1890, a Auvers-sur-Oise, in Francia, Vincent Van Gogh si spara all’addome, probabilmente per il terrore di una nuova crisi psicotica, e muore due giorni dopo, con accanto il fratello Theo, accorso da Parigi per restare al suo capezzale.

Il legame tra i due era talmente saldo, al limite con l’ossessione, che anche Theo verrà a mancare pochi mesi dopo, distrutto dal dolore.

Vincent Van Gogh muore, dopo aver prodotto circa mille opere, tra disegni, dipinti e acquerelli, ma vendendone una soltanto, “Il Vigneto Rosso”, acquistato dalla sorella di un amico, più per amicizia, che per reale interesse.

Intorno al suo suicidio ci sono ancora molti dubbi, soprattutto perché nelle lettere scritte al fratello Theo immediatamente prima della sciagura, Vincent Van Gogh faceva riferimento a nuovi lavori in cantiere e parlava del futuro con l’animosità di chi ha ancora voglia di fare e non certo con il pessimismo di chi è prossimo a togliersi la vita.

Sta di fatto che Vincent Van Gogh muore.

E muore considerato dal suo tempo un pazzo, nonché un pittore mediocre.

Eppure, già con le prime mostre successive alla sua morte, la critica comincia a riconsiderare i suoi colori e le sue pennellate corte e potenti, rendendo giustizia a quello che, in fondo, era il bisogno impellente di Van Gogh di raccontarsi, fino a consegnare ai giorni nostri uno dei più grandi maestri della Storia dell’Arte.

Se non il più grande, probabilmente il più tormentato.

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